Senza alcun dubbio, Barcelona fu una delle imprese di Freddie tra le più ambiziose, provocatorie e allo stesso tempo, coraggiose.
La considerava come uno dei progetti più gratificanti della sua carriera e di cui andava più fiero. E, in effetti, cantare con Montserrat Caballè era la realizzazione di un sogno che non si sarebbe mai aspettato potesse diventare realtà.
L’album nacque nel 1987, dopo le fatiche e i bagordi dell’ultimo grande tour dei Queen, in un periodo che Freddie si era ritagliato per i propri lavori personali e per realizzare un nuovo album solista. All’epoca, Barcelona non era però nemmeno che un’idea, avendo Freddie registrato solo la cover di The Great Pretender. Ma qualcosa bolleva in pentola. E nemmeno Freddie aveva idea di cosa fosse.
Freddie era un grande appassionato di musica lirica e nutriva una stima particolare ed incondizionata per il soprano spagnolo, che egli stesso riteneva, con la poca considerazione che, spesso, aveva per il proprio lavoro, una vera leggenda.
FM: non penso a me stesso come una leggenda.. io con le leggende non ho molto a che fare. Per me una leggenda è qualcuno come Montserrat Caballè. Lei è la leggenda, e io sono solo una vecchia squaldrina.
FM: amo la musica e Lei è la musica!
Tutto incominciò nel 1983 quando Freddie si innamorò di quella che pensava essere la più bella voce nel mondo. Freddie si recò presso la Royal Opera House per ammirare Luciano Pavarotti nell\’opera di Verdi “Un ballo in maschera”. Precedentemente lo aveva ascoltato su disco, ma mai visto dal vivo e apprezzò la voce e il controllo del tenore. Ad ogni modo, per quanto chiaramente Pavarotti fosse impressionante, fu la mezzosoprano a lasciare esterrefatto Freddie. Appena incominciò a cantare rimase a bocca aperta. Rimase estasiato. La voce apparteneva a Montserrat Caballè. Da allora Freddie divenne un suo grande fan. Con un desiderio, che lo contraddistingueva dagli altri appassionati. La grande volontà di incidere, con la Divina, una canzone.
Peter Freestone: Si rappresentava un’opera di Verdi, un Ballo in Maschera. Il tenore prese una grande aria, mentre stava entrando in scena. Freddie esclamò: “che bravo! Canta come nei dischi”. Poi toccò ad un trio e apparse il soprano. Fu Montserrat a cantare. Non sapeva come si chiamasse, non sapeva niente di lei. Lei entrò, cantò la sua parte. E, alla fine del pezzo, lui era rimasto a bocca aperta. Chiese: “quando rientra? Voglio sentirla ancora, chi è?” Gli risposi “è Montserrat Caballè, un soprano spagnolo”. E lui: “hai i suoi dischi? Voglio sentirla, voglio ascoltarla”. Cominciò tutto cosi!
Nel luglio del 1986, nel corso di una intervista al programma televisivo spagnolo Informe Semanal Freddie raccontò della sua passione per l’opera ed in particolare per la voce di Montserrat Caballè. Spiegò che il motivo principale del suo viaggio a Barcelona era (oltre per tenere un concerto con i Queen) per realizzare il desiderio di incontrare la diva.
Nonostante lo scarso interesse dell’intervistatore, il messaggio non cadde nel vuoto e giunse alle orecchie di Montserrat. Il manager dei Queen Jim Beach si mise in contatto con il promoter spagnolo della band, Pino Sagliocco, affinchè venisse organizzato un incontro.
E cosi fu.
Mike Moran: Mi telefonò tutto eccitato. “non indovinerai mai, ho ricevuto un messaggio. Montserrat Caballè, vorrebbe conoscermi. Devi venire con me”
Il 24 marzo 1987, all’Hotel Ritz di Barcelona, avvenne il primo incontro tra una leggenda della musica lirica e una leggenda del rock.
THIS IS NOT A LIVE VERSION, but it was a “live” event; unfortunately they were “playbacking”. This version of Barcelona was performed in 1988, to celebrate that Barcelona was chosen for the upcoming Olympics of 1992.
FM: Ero veramente nervoso. Non sapevo come comportarmi o cosa dirle. Per fortuna lei mi ha messo a mio agio da subito e ho capito che tutti e due avevamo lo stesso tipo di humor. Mi ha domandato quale era il numero che preferivo. Le risposti. Il numero uno. E lei mi disse: d’ora in avanti ti chiamerò il mio Numero Uno! Ho risposto che io l’avrei chiamata ‘Super Diva’.
Montserrat è stata meravigliosa. Le ho confessato il mio amore per il suo canto, le ho confidato che avevo i suoi album…
Peter Freestone: L’incontro era fissato per le due. Freddie camminava avanti e indietro, non l’avevo mai visto cosi ansioso. Ogni due o tre minuti mi veniva chiesto di verificare se Montserrat stava arrivando. Alla terza volta, verso le due e un quarto, mi si presentò una scena magnifica. Senza mancarle di rispetto, la scena che vidi mi ricordava il testo di una vecchia canzone che cominciava cosi “stately as a galleon, she sailed across the floor..”. La folla nel foyer si aprì come nella bibbia come la separazione delle acque. E Monserrat la attraversava.
Freddie saltò dalla sedia e dopo averle stretto a mano la accompagnò al suo posto. Disse semplicemente: Salve, sono Freddie Mercury. Cosi cominciò tutto.
All’incontro di Barcelona, Freddie si presentò con Jim Beach, con il compositore arrangiatore Mike Moran e con il suo assistente personale Peter Freestone.
Montserrat Caballè: entraì nella stanza. Le mani di Freddie erano gelate e lo erano anche le mie. Pensai che anche lui era nervoso e anche più di me e questo era positivo, perché se una persona è nervosa significa che si aspetta qualcosa dall’altra.
Freddie portò anche una audiocassetta con un brano che aveva composto proprio in precedenza (e non, come alcune cronache riferiscono, appositamente per questa occasione). Il brano era: Exercises in Free Love, nella quale Freddie aveva cantato in falsetto imitando la voce del soprano.
FM: Non volevo limitarmi a fare la sua conoscenza e scambiare giusto due chiacchiere, perché non si fanno certe cose. Pensavo che avrei dovuto sottoporle una idea di ciò in cui si stava imbarcando in termini di musica, perché spiegare le cose musicalmente è la cosa di gran lunga più difficile. Allora con la sua voce in mente, ho scritto un paio di pezzi con Mike Moran e glieli ho fatti ascoltare. Li ha subito trovati di suo gradimento e così è iniziato il progetto.
Mike Moran: Freddie era teso come una corda di violino. Aveva voluto portare qualcosa da poterle far vedere e sentire, qualcosa che lei non avesse ancora sentito dai suoi ragazzi. Finalmente Lei entrò, come la Regina di Saba, con il suo entourage. Di primo acchitto fu un po’ imbarazzante, ma Freddie si buttò a capofitto con coraggio.
MC: C’era un piano nell’angolo ed era ben preparato. Quindi ci alzammo dal tavolo e andammo all’angolo della sala dove si trovava il piano e lui cominciò a suonare ed io cominciai a comprendere le sue idee. Lui suonava e io cantavo. Avremmo potuto andare avanti per ore. Quando terminammo, ci siamo guardati l’un l’altra ed in quel momento compresi che mi aveva conquistato.
La diva ascoltò e apprezzò molto il brano scritto per lei da Freddie e da Mike Moran, tanto che, con grande sopresa dei presenti, disse: lo porterò alla prima mondiale entro tre giorni al Covent Garden di Londra! E tu, battendogli la mano sulla spalla, (riferito a Mike Moran), suonerai.
Una delle più grandi dive del nostro tempo, ed uno dei più grandi front man della storia del rock, passarono il resto del giorno a cantare insieme nel giardino dell’hotel, appositamente attrezzato dal management dei Queen, con Mike Moran al piano.
Mike Moran: quando Montserrat lasciò il Ritz quella sera, Freddie si guardò intorno e disse… che cosa abbiamo fatto, caro???
La musica moderna, da allora, non sarebbe più stata la stessa.
Nuevo video versión 2012, cortesía de Rhys Thomas. Durante septiembre de este mismo año (exactamente el 3), saldrá a la venta una versión orquestada de Barcelona. Estará disponible en CD, caja con 3CD+DVD, LP y descarga.
Durante il primo soggiorno romano di Michelangelo, dal 1496 al 1501, l’artista strinse un rapporto di amicizia e collaborazione col banchiere Jacopo Galli, che fece da intermediario e garante in diverse commissioni legate a un gruppo di cardinali. Una delle più prestigiose fu quella per la Pietà marmorea per il cardinale francese Jean de Bilhères, ambasciatore di Carlo VIII presso papa Alessandro VI, destinata alla cappella di Santa Petronilla. Qui il cardinale venne effettivamente poi sepolto, facendo pensare che l’opera fosse originariamente destinata al suo monumento funebre[1].
Un contatto non formalizzato tra artista e committente dovette avvenire già nel 1497, in seguito al quale l’artista si recò a Carrara per scegliere un marmo, un’operazione che da allora divenne una costante della sua carriera di scultore. Il contratto vero e proprio venne però firmato solo il 26 o il 28 agosto 1498, alla presenza del Galli, con un tempo di consegna previsto in un anno. Effettivamente la statua fu pronta nel 1499 e destinata a Santa Petronilla[1]. L’opera destò subito grande ammirazione e pare che Michelangelo la firmò solo in un secondo momento, quando sentì due uomini lodare la statua ma attribuirla allo scultore lombardo Cristoforo Solari[2].
Cinquant’anni dopo Vasari ancora celebrava l’opera, scrivendo: «[Riguardo alla Pietà] non pensi mai, scultore né artefice raro, potere aggiungere di disegno né di grazia, né con fatica poter mai di finezza, pulitezza e di straforare il marmo tanto con arte, quanto Michelagnolo vi fece, perché si scorge in quella tutto il valore et il potere dell’arte»[3].
Poco prima del 1517 l’opera venne trasferita nella sagrestia della basilica di San Pietro in Vaticano e di nuovo spostata nel vecchio coro sistino nel 1568, poi ancora, per i lavori che procedevano nella basilica, sull’altare dei Santi Simone e Giuda, e nel 1626 nel nuovo coro. La collocazione attuale, nella prima cappella a destra della navata della basilica, risale al 1749. Nel 1736 aveva subito un restauro delle dita della mano destra della Vergine[1].
Nel 1964, la Pietà è stata prestata dalla Santa Sede alla 1964–1965 New York World’s Fair (Esposizione universale di New York 1964–1965) per essere installata nel padiglione della Città del Vaticano. Le persone hanno fatto la fila per ore per intravedere da un nastro trasportatore in movimento davanti alla scultura. La statua tornò in Vaticano dopo l’Esposizione.
Il fatto che la Madonna fosse molto giovane suscitò delle critiche, registrate dal Vasari, nell’incapacità ormai di riconoscere la tradizione medievale di Maria vista come sposa di Cristo e simbolo della Chiesa: tali iconografie, spesso antichissime, vennero abbandonate in seguito alla Controriforma, interrompendo tradizioni secolari che vennero presto dimenticate dai contemporanei. Una Madonna giovanissima si trova ad esempio, per restare in ambito romano, nel mosaico di Jacopo Torriti in Santa Maria Maggiore. Per tutto il Quattrocento si continuò a ripetere tali schemi, con una conoscenza più o meno consapevole degli scritti teologici medievali, spesso mediata dagli ordini religiosi committenti[5].
Inoltre Michelangelo, come scrisse il suo biografo Ascanio Condivi, sostenne che “La castità, la santità e l’incorruzione preservano la giovinezza”. Lo stesso Vasari riporta questa opinione nel confutare le critiche alla scelta dell’artista: «Se bene alcuni, anzi goffi che no, dicono che egli abbia fatto la Nostra Donna troppo giovane, non s’accorgono e non sanno eglino che le persone vergini senza essere contaminate si mantengono e conservano l’aria de ‘l viso loro gran tempo, senza alcuna macchia, e che gli afflitti come fu Cristo fanno il contrario? Onde tal cosa accrebbe assai più gloria e fama alla virtù sua che tutte l’altre dinanzi»[6]. Michelangelo inoltre non voleva rappresentare la scena con lo scopo di narrare un episodio (la morte di Cristo) ma era principalmente interessato all’aspetto simbolico: Maria è rappresentata giovane come quando concepì Cristo.
Intervista a Osho Rajneesh concessa alla Rai (televisione italiana) nel 1972 e tenuta a Puna, in India.
(voce fuoricampo di Arnoldo Foà.)
Un video importante per la vita di ogni Essere
È una tecnica molto semplice,ma all’inizio sembra molto difficile.
Se la provate,scoprirete che è semplice.
Se non la provate e vi limitate a pensarci,apparirà molto difficile.
LA TECNICA E’:FAI SOLO CIO’ CHE TI PIACE.
Se non ti piace,non farlo.
Prova,perché questa gioia viene solo dal tuo centro.
Se fai qualcosa e ti piace,cominci a riconnetterti con il centro.
Se fai qualcosa che non ti piace,sei disconnesso dal centro.
LA GIOIA NASCE DAL CENTRO E DA NESSUN ALTRO LUOGO.
Quindi usalo come criterio di paragone,e sii fanatico a questo riguardo!
Cammini per strada… all’improvviso ti accorgi che non ti stai godendo la camminata.
Fermati.
Basta,non devi continuare.
Quando qualcosa ti piace,sei centrato.
La gioia è solo il suono dell’essere centrato.
Se qualcosa non ti dà gioia,sei fuori centro.
Allora non forzarla;non ce n’è bisogno.
Se la gente pensa che sei matto,lascia che pensi che sei matto.
Entro pochi giorni scoprirai,per esperienza diretta,come eri lontano da te stesso.
Stavi facendo mille cose che non ti piacevano,eppure le facevi lo stesso perché ti era stato insegnato così.
Stavi adempiendo ai tuoi doveri.
Il centro è accessibile quando sei caldo,quando fluisci,ti sciogli nell’amore, nella gioia,nella danza, nella delizia.
Dipende da te.
Continua a fare solo quelle cose che ami veramente fare e che ti danno gioia.
Se non ti piacciono,smetti.
TROVA QUALCOS’ALTRO CHE TI DIA GIOIA.
Ci deve essere pur qualcosa che ti piace.
Non ho mai incontrato una persona a cui non piace nulla.
Ci sono persone alle quali magari non piace una cosa o un’altra o un’altra ancora,ma la vita è vasta.
Non rimanere legato;rimani fluido.
Lascia che l’energia scorra di più.
Lascia che fluisca,che si incontri con le altre energie che ti circondano.
In un’energia che fluisce,diventi di colpo integrato.
Il segreto sta nel trovare qualcosa che comincia a darti gioia.
Tutte le volte in cui ti piace qualcosa,sei in armonia con te stesso e in armonia con l’universo,perché il tuo centro è il centro di tutto.
Entro pochi giorni verranno stabiliti molti contatti con il centro,e allora comprenderai cosa intendo quando ripeto in continuazione che quello che cerchi è già dentro di te.
Non è nel futuro.
Non ha nulla a che fare con il futuro.
È già qui e ora,sta già accadendo.
(OSHO)
« L’amore è l’unica religione. Tutto il resto è solo spazzatura. »
(Osho, Il canto della meditazione)
Osho con Enzo Biagi nel 1986
da Wikipedia.
Osho Rajneesh, meglio noto come Osho (Kuchwada, 11 dicembre 1931 – Pune, 19 gennaio 1990), è stato un mistico e maestro spirituale indiano, che acquisì seguito internazionale.
Alla nascita chiamato Chandra Mohan Jain (hindi devanagari: चन्द्र मोहन जैन) – noto anche come Acharya Rajneesh negli anni Sessanta, e in seguito come Bhagwan Shree Rajneesh[1][2] – negli anni Ottanta adottò il nome di Osho Rajneesh, che poi ridusse semplicemente a Osho[3] (dal termine “oceanico”, pronunciato osheanic in inglese).[4]
Osho era un professore di filosofia che abbandonò la carriera accademica per girare il mondo come maestro spirituale.[5] Le sue posizioni anticonformiste suscitarono scalpore e reazioni controverse.[6] Nel 1953, a ventun anni, visse l’esperienza mistica dell’Illuminazione.[7] Iniziò a viaggiare per l’India, a tenere discorsi e a condurre campi di meditazione. Nel 1974 fondò un ashram a Pune che arrivò a ricevere trentamila visitatori l’anno.[6][8]
Nel 1981 si trasferì in Oregon dove fondò una Comune che finì per sgretolarsi a causa di attività illegali commesse dai suoi esponenti di spicco[6] e denunciate pubblicamente dallo stesso Osho.[9][10] Nel 1986, duramente osteggiato dal governo statunitense,[11][12] tornò in India dove le sue condizioni di salute subirono un drastico peggioramento, da lui attribuito a un avvelenamento subito nelle carceri americane.[13] Morì a Pune a cinquantotto anni.
I suoi insegnamenti sincretici enfatizzano l’importanza della meditazione, della consapevolezza, dell’amore, della creatività, dell’umorismo e di una gioiosa celebrazione dell’esistenza, valori che egli riteneva soppressi dai sistemi di pensiero imposti dalla società, dalle fedi religiose e dalle ideologie.[14] Osho invitò l’uomo a vivere in armonia e in totale pienezza tutte le dimensioni della vita, sia quelle interiori che quelle esteriori, poiché ogni cosa è sacra e ricolma del divino.[15]
Fautore di una ribellione fondata sul senso critico e sul rifiuto di assumere qualsiasi norma di vita o valore sociale solo perché comunemente accettati, fu un forte oppositore delle religioni organizzate e di ogni tipo di potere.[16] Considerava tutte le tradizioni religiose come false credenze che reprimono l’uomo e lo allontanano dalla Verità.[17] Le sue idee ebbero un notevole impatto sul pensiero New Age occidentale (da cui tuttavia egli prese le distanze)[18][19] e sulla controcultura ereditata dagli anni sessanta. La sua popolarità ha continuato ad aumentare dopo la sua morte.[20][19]
La capitolazione imposta alla Grecia dalla’Germania segna il momento ufficiale della morte della democrazia europea e della nascita del Quarto Reich. Fino a ieri potevamo ancora illuderci che le nazioni europee mantenessero la propria sovranità, e che le elezioni e i referendum servissero a dare un mandato ai parlamenti e ai governi. Da ieri sappiamo ufficialmente che i pareri degli elettori sono carta straccia, e contano soltanto le decisioni della Germania e, tramite essa, dei mercati, delle borse e della finanza.
All’annuncio dell’accordo, gli speculatori hanno immediatamente votato nell’unico modo che ormai conta: facendo salire gli indici di borsa. E, come gli avvoltoi che all’annuncio del terremoto festeggiavano, al pensiero degli affari della ricostruzione, anch’essi hanno esultato, nella previsione della spartizione delle spoglie pubbliche greche che va sotto il macabro nome di “privatizzazione”
Da domani la farsa della democrazia greca chiude i battenti. L’ex ministro Varoufakis ha raccontato in un’intervista quale fosse la filosofia dei leader del nuovo Quarto Reich nelle trattative: “Non possiamo permettere che le elezioni nei vari paesi cambino le direttive imposte dai mercati e dalle borse”. Dal che discende, ovviamente, che è ormai inutile tenerle, le elezioni, perché i risultati non avranno effetti sulle decisioni dei padroni e sui comportamenti dei servi.
Ora sappiamo anche cosa è successo nel 2011 in Italia: esattamente la stessa cosa. Con una differenza: che mentre un leader come Tsipras e un partito come Syriza hanno cercato coraggiosamente, benché inutilmente, di preservare la dignità e la democrazia del proprio popolo, un presidente come Napolitano è un partito come il Pd le hanno svendute vigliaccamente all’italiana: cioè, senza nemmeno combattere.
Il risultato sono stati i governi Monti e Renzi, eterodiretti e senza mandato elettorale. Le politiche che i greci dignitosamente contestano in piazza e che gli italiani indegnamente accettano in silenzio, in preda alla sindrome di Stoccolma. E soprattutto una schifosa visione del mondo, basata su un unico valore: il denaro.
In base a questa visione, i lavoratori non sono uomini considerati come fini, ma animali usati come mezzi. I servizi sociali non sono misure di civiltà, ma costi improduttivi. Delle merci conta non l’utilità, ma la vendibilità. Gli acquisti si fanno non in base ai bisogni degli acquirenti, ma ai desideri dei venditori. E i media sono contenitori non di alta cultura, ma di bassa pubblicità.
In un mondo come questo, non vale la pena vivere: nemmeno per i ricchi, anche se nella loro stupida avidità essi nemmeno se ne accorgono. Anzi, pensano che lo squallido “modello” di vita che propongono debba essere imposto al mondo intero: paradossalmente, all’insegna della democrazia che quello stesso “modello” ha ucciso rendendola ormai un’utopia obsoleta e anacronistica.
6LUG2015 E ora un referendum in Europa!
L’ossimorico “colpo di stato democratico”, consistente nel far cadere un governo liberamente eletto con un diktat della BCE o del FMI e sostituirlo con un governo fantoccio prostrato ai loro ordini, riuscito in Italia nel 2011 con la correità del presidente Napolitano e l’acquiescenza dei governi Monti, Letta e Renzi, è fallito nel 2015 in Grecia.
I leader della Comunità Europea, dai giganti come la Merkel ai nani come Renzi, passando per il santo protettore degli evasori fiscali Juncker, sono pesantemente intervenuti nella campagna per il referendum greco, a favore della sconfessione del governo Tsipras e delle sue conseguenti dimissioni anticipate. Gli elettori greci hanno invece fatto loro una solenne pernacchia, quasi raddoppiando i voti che Tsipras aveva ottenuto cinque soli mesi fa.
Se la Merkel, Renzi, Juncker e i loro comparigrado dei diciotto paesi dell’Eurozona fossero, per ipotesi assurda, uomini e donne d’onore, indirebbero per domenica prossima un referendum e chiederebbero democraticamente ai cittadini che pretendono di rappresentare se sono o no d’accordo con le politiche economiche che essi impongono ai propri e agli altrui paesi, in nome e per conto delle banche e dei giganti aziendali smascherati dai Luxemburg Leaks.
Se così facessero, forse tra una settimana si potrebbe finalmente incominciare a costruire un’Europa dei Cittadini, e a smantellare l’Unione delle Banche Europee. Ma, naturalmente, gli uomini e le donne del disonore che si fanno chiamare leader, ma sono in realtà dei follower, si guarderanno bene dal farlo: rimarranno aggrappati con le unghie al potere che è stato loro affidato dai poteri forti, proprio perché lo gestissero contro i cittadini deboli.
E così dovremo aspettare le elezioni in Spagna, per dare il secondo colpo di piccone all’Euro. E il referendum in Inghilterra, per darne un’altro all’Unione. In Italia, non si prevedono elezioni o referendum alla breve, e forse nemmeno alla lunga. Infondo, Renzi trova tanto comodo comandare senza alcun mandato elettorale, che non si vede perché dovrebbe scomodarsi a chiederne uno: non vale la pena giocare gli stupidi giochi della democrazia, soprattutto quando si corre il concreto rischio di perderli.
28GIU2015 Je suis grec et démocratique
Il presidente del Consiglio greco Alexis Tsipras è stato eletto il 26 gennaio scorso dagli elettori del suo paese con il mandato di contrastare le politiche liberiste che, con la scusa della crisi, gli organi extranazionali nominati cercano di imporre oligarchicamente ai parlamenti e ai governi nazionali democraticamente eletti.
Tsipras ha coraggiosamente cercato di contrastare per cinque mesi i diktat della famigerata troika composta da Banca Europea, Commissione Europea e Fondo Monetario Internazionale. E posto di fronte al ricatto finale dei loro Dracula ha deciso di appellarsi al popolo greco e chiedere il suo parere attraverso un referendum, benché forte di un recente mandato elettorale per rifiutarlo.
Il presidente del Consiglio italiano Matteo Renzi è stato nominato il 22 febbraio 2014 dal presidente della Repubblica e ha ricevuto, in un parlamento eletto con una legge incostituzionale, la fiducia da parte di una maggioranza di parlamentari eletti nel Pd con il mandato di perseguire la politica non liberista del programma elettorale di quel partito.
Piegandosi ai diktat degli stessi Dracula della stessa troika, Renzi ha implementato invece la politica liberista da essa pretesa, imponendo riforme elettorali, lavorative e scolastiche che hanno diviso il paese, benché non avesse mai ricevuto alcun mandato elettorale dagli elettori italiani, e la sua maggioranza ne avesse ricevuto uno per implementare riforme contrarie a quelle a cui si è piegata.
Domanda da un milione di euro (o dracme): chi, fra Tsipras e Renzi, è democratico? Quello che non fa ciò che è stato eletto per non fare, e che chiede comunque ai suoi elettori se vogliono che non lo faccia? O quello che fa ciò non è stato eletto per fare, anche perché non è mai stato eletto, e che non chiede ai suoi elettori se vogliono che lo faccia?
Ps. Il ministro delle finanze Varoufakis ha dichiarato che, poiché la legge elettorale maggioritaria greca ha permesso al partito di Tsipras di andare al governo con solo il 36 per 100 dei voti, esso non è legittimato a prendere decisioni importanti come quella in gioco, che richiedono il 50 per 100 più 1 dei voti. Evidentemente la Grecia, che ha inventato la democrazia a sua gloria, la capisce meglio di un paese come l’Italia, che ha inventato il fascismo a sua vergogna, ed è più a suo agio con la dittatura.
Pps. A favore del referendum e del “no” ai diktat della troika, ecco i pareri di piketty, krugman e stiglitz.
24GIU2015 La Corte Costituzionale all’amatriciana
La Corte Costituzionale ha stabilito che il blocco degli stipendi della Pubblica Amministrazione, in vigore ormai dal 2010, era non solo illegale, ma addirittura incostituzionale. I dipendenti che hanno dunque visto lesi non solo i propri diritti legali, ma i diritti costituzionali di tutti i cittadini, dovranno allora essere risarciti? Manco per idea! Siamo in Italia, nel paese delle operette, e dipendenti e amministrazione possono cantare in coro:
Chi non ha avuto, non ha avuto, non ha avuto…
Chi non ha dato, non ha dato, non ha dato…
Scurdámmoce ìo ppassato,
Simmo ’e Napule paisá!…
E se qualcuno, invece di essere a Napule e governato da De Luca, sperava di essere in Italia e tutelato dalla Corte Costituzionale? Dovrà farsene una ragione.
D’altronde, quest’ultima non è la stessa che ha stabilito, un paio d’anni fa, che l’intero Parlamento è stato eletto con una legge elettorale incostituzionale, ma può rimanere comunque in carica? Siamo appunto in Italia, nel paese delle operette, e elettori ed eletti possono cantare in coro:
Chi ha avuto voti, ha avuto, ha avuto…
Chi ha dato voti, ha dato, ha dato…
Scurdámmoce ìo ppassato,
Simmo ’e Napule paisá!…
E se qualcuno, invece di essere a Napule e governato da Renzi, che ha avuto come unico mandato governativo la fiducia di un Parlamento eletto con una legge incostituzionale, ma può comunque governare come se niente fosse, sperava di essere in Italia e tutelato dalla Corte Costituzionale? Di nuovo dovrà farsene una ragione.
Almeno fino a quando il popolo sovrano non deciderà di darle di santa ragione al Parlamento, al governo e alla Corte Costituzionale. D’altronde, se interpellata, quest’ultima non stabilirà forse che coloro che se le sono prese, le hanno ricevute in maniera incostituzionale, ma dovranno comunque tenersele? Siamo in Italia, nel paese delle operette, e menatori e menati potranno cantare in coro:
Chi le ha prese, le ha prese, le ha prese…
Chi le ha date, le ha date, le ha date…
Scurdámmoce ìo ppassato,
Simmo ’e Napule paisá!…
Viva Napule! E viva la Corte Costituzionale all’amatriciana!
16GIU2015 Uno Stato ormai delegittimato
In qualunque consesso civile, affinché le decisioni prese abbiano valore si richiede la presenza del “numero legale”: se manca la maggioranza degli aventi diritto, non si può deliberare. Così avviene nei condomini, nelle associazioni, nelle società, nei dipartimenti, nelle facoltà, persino nei referendum.
Se lo Stato fosse dunque un consesso civile le elezioni di ieri verrebbero annullate, perché la maggioranza degli elettori non vi ha preso parte. Ma è appunto per evitare questo risultato che lo Stato incivile si tutela imponendo sé stesso e la propria presenza in ogni caso, indipendentemente dall’opinione che i cittadini hanno su di esso.
E fa bene, perché ormai da qualche tempo ogni appuntamento elettorale conferma l’impressione che l’opinione della maggioranza dei cittadini sia una sola, e cioè questa: che lo Stato non sia altro che un inutile e dannoso moloch, che ha forse come scopo secondario quello di soddisfare i loro bisogni sociali, ma ha certamente come scopo primario quello di preservarsi a loro spese, ed è dunque inutile andare a votare per l’uno o l’altro suo rappresentante.
In effetti, dalle tasche dei contribuenti lo Stato sottrae più di metà dei loro guadagni: più del 40 per 100 in Irpef sul reddito, e più del 20 per 100 in Iva sulle spese effettuate con il rimanente. Una parte di questi introiti va sicuramente a coprire i cosiddetti “servizi” ai cittadini, che si situano però spesso a livelli da terzo mondo: la sanità, i trasporti, le poste, le scuole, i lavori pubblici, la giustizia, eccetera. Ma un’altra consistente parte va altrettanto sicuramente a coprire le spese per il funzionamento del carrozzone della Pubblica Amministrazione locale e centrale, che è disgustosamente inefficiente e vergognosamente sovradimensionato.
E’ ovvio che alla lunga i cittadini incomincino a domandarsi se valga la pena partecipare alla profana rappresentazione delle elezioni, in mancanza di propositi sensati e credibili (ovvero, né berlusconiani, né renziani) di rifondare l’intero carrozzone. Anzitutto, smantellando radicalmente l’esercito di parassiti clientelari che infestano i comuni, le province, le regioni, il parlamento e i ministeri, e contribuiscono non solo a drenare risorse, ma anche a tessere le maglie dell’idiota e bizantina rete burocratica che soffoca la vita quotidiana del cittadino qualunque.
Inoltre, modernizzando e rendendo efficienti i servizi che costituiscono la ragion d’essere dello Stato stesso. A partire dalla sanità, che da un lato succhia la fetta preponderante delle spese locali, ma dall’altro la sperpera per foraggiare le lobbies delle case farmaceutiche, degli ospedali e dei medici, che finora nessuna riforma ha nemmeno pensato di toccare.
Infine, eliminando l’assurda divisione dicotomica di un paese nel quale, secondo i dati di pochi giorni fa, trenta milioni di cittadini non denunciano alcun reddito, e dieci milioni denunciano un reddito che permette loro di pagare tasse inferiori ai 55 euro annuali. Sui venti milioni di contribuenti rimanenti si accaniscono le grinfie dell’Agenzia delle Entrate, che non fa nulla o quasi per effettuare controlli sui rimanenti quaranta milioni, e pretendere da loro spiegazioni su come si mantengano e di cosa vivano.
L’astensione ormai maggioritaria nei confronti dei vuoti riti di questo Stato cialtrone e inefficiente, forte con i deboli (lavoratori e contribuenti) e debole con i forti (parassiti ed evasori), suona un campanello d’allarme che può essere messo a tacere solo in due modi. Il primo, legale, è la convocazione di un’Assemblea Costituente a cui partecipino rappresentanti della società civile incaricati di riformare il sistema dalle radici, e dalla quale siano interdetti i politici di professione, sulla base del principio per cui una riforma della giustizia non viene affidata ai delinquenti, né una riforma dell’erario agli evasori.
In assenza di questo ci si dovrà aspettare, e non ci si potrà stupire, che la maggioranza della popolazione, che rifiuta di continuare a giocare allo sporco gioco della scelta obbligata fra alternative tutte screditate e fra loro indistinguibili, sia costretta a far ricorso ai mezzi illegali che storicamente sono sempre serviti a effettuare i veri cambiamenti di potere. Compresi, ovviamente, quelli che hanno portato ai sistemi democratici: chi è causa del suo mal, piangerà sé stesso.
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13GIU2015 Bergoglio: da che pulpito! E chi se ne frega!
In questi giorni i media non ci danno tregua, sparando a titoli cubitali una dietro l’altra supposte notizie su Bergoglio. Cioè, abboccando come polli alle esche lanciate dal suo spin doctor Greg Burke, che arrivando pure lui dai media (per la precisione, dal canale trash delle Fox News statunitensi) sa bene quali siano le sollecitazioni alle quali i giornalisti sono sensibili, e dalle quali sono più propensi a lasciarsi menare per il naso.
A parte la visita dei 100.000 futuri presidenti del Consiglio italiani, per ora fermi alla prima tappa del loro duro percorso di formazione nello scoutismo, prima di passare gioiosamente alla seconda tappa dei giochi a premi televisivi, la grande notizia di ieri e oggi è che la Chiesa è pronta a una data unica e fissa per la Pasqua: come se quella data non fosse per sua natura una vuota convenzione, che può ovviamente essere cambiata a capocchia nel modo che fa più comodo.
Un paio di giorni fa si era invece trattato della profonda scoperta linguistica, dapprima confidata a Scalfari nel segreto dei loro incontri e ora divulgata urbi et orbi, che il sostantivo “Chiesa” è femminile, e non maschile: come se da questo dovesse derivare chissà quale conseguenza epocale. Aspettiamo con ansia il momento in cui Bergoglio scoprirà che la parola “spirito” è maschile in italiano e in latino, ma era neutra nel greco pneuma e femminile nell’ebraico ruah, con conseguenze immaginiamo epocali per la teologia francescana (del papa, non dei frati).
Mentre c’era, Bergoglio ha aggiunto che “la Madonna è più importante degli Apostoli”, anche se il suo ruolo era secondario nei Vangeli e negli Atti degli Apostoli: come se la mariologia non fosse una fantasiosa invenzione successiva. I dibattiti sulla questione, cruciale per la storia dell’umanità, se la Madonna fosse christotoka o teotoka furono infatti “risolti” al Concilio di Efeso nel 431. Quelli, altrettanto cruciali, sulla sua verginità “prima, durante e dopo il parto” al Sinodo Lateranense del 649. La sua immacolata concezione fu dichiarata dogma di fede nel 1854, dopo un referendum tra i vescovi (evidentemente, tutti testimoni oculari dei fatti). E la sua assunzione in cielo fu proclamata nel 1950 da un papa con le traveggole, che la settimana prima aveva visto con i suoi occhi “il Sole rotante”.
Sono pronto a scommettere che il pubblicitario Bergoglio sta meditando di fare ciò che non aveva osato Giovanni Paolo II, che pure era un fan talmente sfegatato della Madonna da aver scelto come motto totus tuus: proclamare, cioè, il quinto dogma mariano della corredenzione, come proposto da Madre Teresa di Calcutta e richiesto da tanti altri invasati.
Nell’attesa del grande evento, Bergoglio ha lanciato le prove generali con un giubileo straordinario, evidentemente immemore del fatto che quel genere di carnevale simoniaco è un’invenzione del dantesco Bonifacio VIII: a dimostrazione che le apparenze dei papi cambiano, ma la sostanza rimane immutata, esattamente al contrario di ciò che accadrebbe con la transustanziazione del pane e del vino.
A noi il giubileo straordinario costerà 500 milioni di euro di finanziamenti statali diretti, oltre ai rivoli indiretti che si disperderanno in tutte le direzioni. Un business straordinario, che Renzi ha sfilato dal controllo del sindaco di Roma e affidato alla gestione del prefetto, per riportarlo saldamente sotto il controllo del governo, come ai tempi delle emergenze di Bertolaso.
Nel frattempo, così come il presidente del Consiglio si preoccupa di fare da sponda al papa, il papa gli rende il favore: l’altro giorno, ad esempio, è andato a pontificare di fronte al Consiglio Superiore della Magistratura. Tutto tronfio, ovviamente, per essersi finalmente deciso in quegli stessi giorni a far processare i vescovi che hanno coperto gli scandali di pedofilia del clero: ovviamente, da un tribunale vaticano, invece di consegnarli ai tribunali civili degli stati dove hanno commesso i loro crimini di connivenza.
Si potrebbe andare avanti a lungo. Come dicevamo, infatti, di queste non notizie ne riceviamo a tamburo battente, con commenti estasiati per le supposte aperture del papa, senza che nessun giornalista abbia il coraggio di dire le poche parole che sarebbero l’unico commento completo e pertinente: cioè, a seconda dei casi, “da che pulpito!”, e/o “chi se ne frega!”.
30MAG2015 Il Grande Rottamatore e i suoi Grandi Rottami
Prima di occupare prepotentemente la poltrona di Palazzo Chigi, per cooptazione presidenziale ma senza alcun mandato elettorale, Matteo Renzi si era presentato al pubblico dello spettacolo della politica come il Grande Rottamatore. Ora che sul trono ci si è seduto e intende rimanerci fino al 2023, almeno secondo le sue ultime dichiarazioni, Matteo Renzi ha gettato la maschera ed è sceso in campo personalmente, insieme alla sua vestale Boschi, a far campagna elettorale per Vincenzo De Luca, uno dei Grandi Rottami del Pd.
I due ovviamente se la intendono, perché condividono molte delle più bieche caratteristiche dell’uomo politico italiano: l’arroganza, la superbia, l’amore per il potere fine a se stesso e il disprezzo della legalità. De Luca l’aveva dimostrato tempo fa, rifiutandosi di rispettare la legge che vieta di cumulare le cariche di sindaco e di sottosegretario. E l’ha dimostrato ora, pretendendo di candidarsi alla presidenza della Regione nonostante la legge Severino gli impedisca di esercitare il mandato, essendo lui stato condannato per un abuso d’ufficio commesso da sindaco.
Gli stolti elettori delle primarie del Pd l’hanno votato lo stesso, a dimostrazione del suo controllo da boss del territorio, e il furbo presidente del Consiglio l’ha presentato in campagna elettorale come un esponente di spicco del sedicente Partito della Legalità, oltre che come l’ideatore di politiche locali che adottate su scala regionale farebbero salire il Pil di un punto percentuale: a vantaggio di quale parte della popolazione, si può facilmente immaginare.
Non c’era dunque bisogno che la Commissione Antimafia (o, nella fattispecie, Anticamorra) lo dichiarasse “impresentabile”. E le reazioni isteriche alla sua pacifica inclusione nella lista (che, si ricorda, l’Antimafia ha sempre pubblicato anche prima di tutte le altre elezioni amministrative, politiche ed europee, a partire dal 2007) non sono altro che i capricci del bambino che se la prende con il fratello o il compagno che l’ha consegnato alla madre o alla maestra, invece che con se stesso per la marachella che ha combinato.
In questo caso, però, il bambino furbetto è un presidente del Consiglio, che pretende di essere il volto nuovo e pulito della politica italiana. E la marachella è la difesa di un uomo che pretende di essere al di sopra di una legge la quale, col senno di poi, si capisce essere stata fatta ad personam, come pretesto per eliminare dalla scena Berlusconi, e non per ripulire l’immondezzaio della politica.
Renzi ora trema, e dice che le elezioni di domani non sono un test su di lui, ma se gli elettori vogliono possono diventarlo. Di motivi per mandare a casa Renzi ce ne sono a dozzine, ma quello che ha tradito la sua falsa missione di rottamazione e di moralizzazione sarebbe il più indicato. Naturalmente non accadrà, perché Renzi non è affatto un uomo nuovo o pulito: è invece l’ultima espressione del trasformismo di un partito vecchio e sporco che ha espresso De Luca nel passato, e che continua a difenderlo nel presente. E altrettanto naturalmente gli elettori lo voteranno, non nonostante il fatto che sia un condannato impresentabile, ma proprio per questo.
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25MAG2015 Si è spenta una Mente Meravigliosa
John Nash e la moglie Alicia sono morti ieri in un incidente stradale, sbalzati fuori da un taxi che li riportava a casa da Oslo, dove il matematico aveva ricevuto la scorsa settimana il premio Abel dalle mani del re di Norvegia, e aveva incontrato il campione del mondo di scacchi, il norvegese Magnus Carlsen. Una morte straordinaria, analoga a quella della principessa Diana, per una coppia straordinaria, che era rimasta unita per più di mezzo secolo nella buona come nella cattiva sorte.
Nash, una delle menti più brillanti del secolo, negli anni ’50 aveva avuto un inizio sfolgorante di carriera e ottenuto risultati memorabili in aree diversissime fra loro. Risalgono appunto a quegli anni della giovinezza i lavori sulla teoria dei giochi, da un lato, e sulla teoria delle equazioni differenziali, dall’altro, che gli valsero in seguito il premio Nobel per l’economia del 1994 e il premio Abel per la matematica del 2015.
Nella teoria dei giochi, il suo massimo contributo fu l’introduzione della nozione di equilibrio di Nash (puro): la situazione in cui si trovano due giocatori che, dopo aver giocato le loro rispettive mosse, non hanno nulla da recriminare perché avrebbero giocato la stessa mossa anche se avessero saputo in anticipo la mossa giocata dall’avversario. Nash dimostrò al proposito un famoso teorema, secondo il quale in tutti i giochi a due persone si può sempre ottenere un equilibrio analogo (probabilistico): una situazione descritta inconsapevolmente da Calvino in Se una notte d’inverno un viaggiatore, quando scrisse che “il meglio che si può ottenere nella vita è di evitare il peggio”.
Presto però lo squilibrio della schizofrenia si impadronì della mente di Nash, prima che egli compisse i trent’anni, sospingendolo su una strada ben diversa da quella del successo. Egli iniziò un calvario negli ospedali psichiatrici, in cui venne trattato con coma insulinici e altre cure invasive, che anni dopo lui stesso non esitò a definire “torture”. Si isolò dal mondo e incominciò a vivere da barbone, aggirandosi come un fantasma nell’Università di Princeton.
La moglie divorziò da lui nel 1963, ma nel 1970 lo riprese in casa nonostante la sua condizione, anche se i due si risposarono ufficialmente soltanto nel 2001. Quello stesso anno il film A beautiful mind li rese entrambi celebri come dei divi, ed essi iniziarono a girare il mondo: sempre insieme, e a volte accompagnati dal figlio, schizofrenico come il padre.
Io lo conobbi poco dopo, il 13 ottobre 2003, quando andai a trovarlo a Princeton per questa intervista. Ci aveva messi in contatto Harold Kuhn, uno dei pochi amici e colleghi che gli erano stati vicini anche durante la sua malattia, e che nel film si vede comunicargli in anticipo l’assegnazione del premio Nobel: un procedimento irrituale, deciso a Stoccolma per evitargli un annuncio che avrebbe potuto turbarlo e agitarlo, nella sua condizione di ancora parziale recupero dalla malattia.
La mia prima impressione fu di un uomo riservato e schivo, quasi impaurito dai contatti umani, e con qualche difficoltà ad affrontare le situazioni normali della vita: paradossalmente, per eccesso di razionalità. Ricordo che passammo vari minuti a decidere se lasciare la borsa nella hall oppure nella biblioteca dell’Istituto per gli Studi Avanzati, dove aleggiavano gli spiriti di Albert Einstein e di Kurt Gödel, o se invece portarla con noi nel ristorante. E la scelta di cosa ordinare a pranzo dovette attendere una minuziosa analisi preventiva, sui vantaggi e gli svantaggi di ciascuna portata potenziale.
L’uomo ispirava però tenerezza e affetto, e la nostra conversazione toccò non soltanto aspetti tecnici legati ai suoi teoremi giovanili e ai suoi studi attuali, ma anche le sue traversie psicologiche e psichiatriche. Con una certa sorpresa di Kuhn, che quando vide la trascrizione dell’intervista mi disse che avevo avuto la fortuna di trovare il modo giusto per farlo parlare anche di cose sulle quali rimaneva normalmente riservato e reticente.
Fu così che restammo in contatto e col tempo diventammo amici, per quanto possano esserlo due persone così ovviamente diverse nel valore scientifico e nell’esperienza umana. Nel 2006 tornai a trovarlo a Princeton, mentre ero in sabbatico alla Columbia University di New York. Mi venne a prendere alla stazione del treno in auto, col suo berretto di lana, e per tutto il viaggio enunciò dichiarativamente le azioni che stava per compiere performativamente: “Ora parto. Ora ingrano la marcia. Ora giro a sinistra. Ora stiamo arrivando…”.
A casa sua voleva presentarmi la moglie, ma dopo essere salito a dirle che eravamo arrivati, ridiscese dicendo che lei stava facendo un lungo bagno, e per quella volta non la incontrai. Tornati alla stazione, mentre aspettavamo il treno per New York gli raccontai che stavo leggendo il libro Emicrania di Oliver Sacks, e gli chiesi se lui ne avesse mai sofferto. Rispose di sì, ma solo in un passato ormai lontano. Tornato in ufficio, un paio di ore dopo, trovai però una sua mail che iniziava: “Come ho detto, erano molti anni che non avevo un attacco di emicrania, ma dopo che ne abbiamo parlato…”.
Quando tenemmo i tre Festival di Matematica a Roma, dal 2007 al 2009, Nash ci fece il regalo di venire ogni volta, e le nostre conversazioni pubbliche rimangono per me tra i momenti più significativi di quell’esperienza. Appena arrivato la prima volta, entrò in albergo con la macchina fotografica spianata e prese a fotografare tutti noi, incurante del fatto che il divo era lui. Io gli suggerii di non dare interviste prima della serata conclusiva, per non rovinare la sorpresa del pubblico, e quandogli chiesi un giorno se potevamo andare alla radio per un’anticipazione, mi rispose laconico che gli era stato proibito.
Un episodio divertente successe al Quirinale nel 2009, quando in occasione del Festival portammo cinque premi Nobel e una medaglia Fields in visita al presidente Napolitano. Una sua domanda di cortesia scatenò una specie di miniconferenza ai massimi livelli, alla quale Nash partecipò con alcune delle sue osservazioni spiazzanti, fino a quando il presidente la concluse diplomaticamente dicendo: “Beh, ci avete fatto una bella lezione!”.
Ricordo varie altre interviste e conversazioni pubbliche, da Bergamo a New York, alcune delle quali reperibili in rete e altre nel libro Il club dei matematici solitari (Mondadori, 2009). Quest’ultimo, in particolare, contiene una lunga storia della teoria dei giochi raccontata in prima persona da Nash e Robert Aumann, un altro premio Nobel dell’economia, e registrata in due puntate: una al Festival della Matematica del 2008 e l’altra a un successivo convegno a Brescia organizzato dall’Iseo (Istituto per lo sviluppo economico e l’occupazione) fondato da Franco Modigliani.
Nel 2010 andammo a New York per Repubblica e L’Espresso, a registrare con Nash questo dvd della serie Beautiful Minds, che si ispirava nel titolo proprio all’espressione indissolubilmente legata al suo nome. In quell’occasione passammo un’intera giornata con lui, che si intrattenne poi cordialmente a cena con gli operatori. Anche se ci diede un po’ di filo da torcere nella registrazione, perché esaurì in dieci minuti la lista delle domande che avevo preparato, dando risposte concise e stringate, e mi costrinse a fare i salti mortali per riuscire a farlo parlare di vari argomenti per il tempo richiesto di un’ora.
L’ultima volta che l’ho visto è stata il 30 settembre del 2013 a Bergamo, per una conferenza di nuovo organizzata dall’Iseo. Passammo una giornata con lui e l’amico Gianfranco Gambarelli, un teorico dei giochi che l’ha a sua volta invitato parecchie volte in Italia. Parlammo della lettera che Benedetto XVI mi aveva inviato da poco, e quando tornò a casa mi inviò una mail nella quale paragonava il papa a San Nicola e me a Thomas Huxley, il “mastino di Darwin”, dicendo che non potevo vincere quel genere di disputa, ma che “la situazione sembrava colorita e stimolante”.
L’ultima volta che l’ho sentito, invece, è stata il 26 marzo scorso, quando mi scrisse di aver ricevuto una telefonata a sorpresa da Oslo in cui si annunciava che gli era stato assegnato un premio Abel “di seconda categoria”: il suo modo per lamentarsi di dover condividere una somma che, purtroppo, non gli sarebbe servita a molto neppure intera. Quel premio gli è stato fatale, ma gli ha permesso di morire avvolto dall’abbraccio della comunità dei matematici. E l’incidente l’ha portato via tragicamente, ma ha evitato sia a lui che alla moglie la sorte peggiore di un lungo e triste declino e di una morte separata.
(Articolo uscito sul cartaceo di Repubblica di oggi)
14MAG2015 #staiserenascuola
Il presidente del Consiglio, evidentemente accortosi di aver varato un’altra delle raffazzonate riforme sulle quali una volta “ci metteva la faccia”, salvo ritirarcela immediatamente, ha scelto per la scuola una strategia differente. Parlando di fronte a una lavagna di ardesia e usando un gessetto, forse per sottolineare il suo anacronismo, ha illustrato con una calligrafia incerta da cattivo studente i provvedimenti della sedicente Buona Scuola, schermendosi: “Non chiamiamola riforma, che non ne possiamo più di riforme”.
Questa è stata una delle poche cose sensate che ha detto. Perché i cinque punti sui quali si baserebbe il suo pastrocchio, che effettivamente non si può certo chiamare riforma, sono stati i seguenti vuoti proclami:
1. Alternanza scuola-lavoro, “per ridurre una disoccupazione giovanile che attualmente è al 44%”. Come se mandando gli studenti a curiosare per qualche ora in qualche luogo di lavoro equivalesse a impegarli, e riducesse il tasso di disoccupazione di coloro che la scuola l’hanno finita e attendono appunto di essere assunti in pianta stabile (Jobs Act permettendo).
2. Cultura umanista, con il potenziamento della storia dell’arte, della musica e delle lingue. Come se l’alternanza scuola-lavoro non richiedesse al contrario un potenziamento delle materie utili per il lavoro, invece che per la formazione culturale. E come se le materie umanistiche (a partire, ovviamente, dalla religione) non fossero già eccessivamente rappresentate in tutte le scuole, comprese quelle nominalmente a indirizzo scientifico.
3. Più soldi agli insegnanti, nella forma di 500 euro ai docenti come paghetta annua per i loro sfizi culturali, e 200 milioni da assegnare ai 200.000 più meritevoli (circa un quarto del totale). Come se questa ennesima elemosina, equivalente ancora una volta ai soliti 80 euro mensili per i beneficiari, mutasse la sostanza di uno stipendio medio che è di un terzo inferiore a quello di altri paesi ai quali Renzi ha alluso nella sua lezioncina, come la Germania e la Svizzera.
4. Autonomia, “per togliere il potere alle circolari ministeriali”. Come se il decreto sulla scuola non venisse attuato con una serie di altre circolari ministeriali, la prima delle quali Renzi ha detto che stava appunto per andare a firmare nel pomeriggio. E come se affermare che le scuole di Scampia devono per forza di cose essere diverse da quelle di Trieste fosse “dire qualcosa di sinistra”, invece che gettare la maschera e mostrare il volto bieco della destra.
5. Continuità didattica con il potenziamento dell’organico, a partire da 100.000 nuovi assunti dalle graduatorie a esaurimento. Come se il rapporto Ocse Education at Glance 2014 non mostrasse che il numero degli insegnanti per studente è molto più alto in Italia (uno ogni 12 studenti) che nella media europea (uno ogni 15 studenti),
Alla fine del suo video Renzi ha buttato sul tappeto, oltre ai cinque punti precedenti, la cifra di quattro miliardi di euro in investimenti per l’edilizia scolastica. Evidentemente confidando che il popolo bue avesse già dimenticato l’analoga promessa fatta prima dell’estate dello scorso anno, quando ancora molti credevano che le parole che uscivano dalla sua bocca corrispondessero da un lato a idee nella sua testa, e dall’altro a fatti del suo governo.
Oggi, dopo più di un anno dal suo colpo di palazzo, immaginiamo che solo i ciechi e i sordi possano dar credito alle sue vuote sparate. Certo non sembrano farlo studenti e professori: quegli stessi, cioè, che nel 1969 riuscirono a scalzare dal piedistallo un gigante come De Gaulle, e che oggi potrebbero farlo anche con un nano come Renzi.
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5MAG2015 Si riparte dall’educazione
Qualche mese fa l’Italia del lavoro era uscita dalle fabbriche e dalle industrie per protestare contro la cancellazione dei diritti dei lavoratori imposta dal liberista governo Renzi. Negli scorsi giorni l’Italia delle opposizioni è uscita dal Parlamento per protestare contro la cancellazione dei diritti degli elettori imposta dall’illiberale governo Renzi. E oggi l’Italia dell’insegnamento e dell’apprendimento è uscita dalle scuole per protestare contro l’ennesima raffazzonata riforma imposta dall’incompetente governo Renzi.
Non c’è naturalmente niente di male a essere liberisti, a meno che si sia di sinistra. Così come non c’è niente di male a essere illiberali, a meno che si sia democratici. E non c’è niente di male a essere incompetenti, a meno che si ami l’efficienza. Altrettanto naturalmente, in questo paese del paradosso Renzi si presenta invece come un efficiente democratico di sinistra: non si sa se per arroganza, per presunzione o per stupidità, cose che peraltro convivono benissimo insieme.
Parte del problema sta naturalmente nella democrazia stessa: affidare direttamente o indirettamente al “popolo” la scelta del governo è come affidare la scelta dei programmi o dei libri all’Auditel o alle classifiche. Ovvio che poi ci si ritrova a guardare il Festival di Sanremo o leggere Dan Brown, in un caso, e a votare Berlusconi o Renzi, nell’altro. E neppure i blog sono immuni dal problema: se lasciati democraticamente a sé stessi, c’è appunto il rischio che alla fine vengano invasi dagli spettatori del Grande Fratello o di Amici, e che si trasformino in pollai o asinai simili al Parlamento.
E’ successo anche a Il non-senso della vita, da sempre aperto a chiunque volesse parteciparvi, ma recentemente diventato il patologico sfogo di alcuni minus habentes incarnanti le stesse spiacevoli caratteristiche del presidente del Consiglio. Inoltre, benché il cosiddetto rasoio di Heinlein metta in guardia dall’attribuire alla malizia ciò che può essere spiegato con la stupidità, c’era anche il sospetto che dietro alle intemperanze verbali di alcuni commentatori si nascondessero propositi più o meno consci di sabotaggio.
D’altronde, è certo che a più riprese alcuni fondamentalisti religiosi e politici avevano apertamente tentato di far naufragare un blog che si distingueva per la sua indipendenza dal politically correct. E non è da escludere che essi abbiano cercato di ottenere subdolamente, col sabotaggio, ciò che non erano riusciti a raggiungere apertamente, con le liste di proscrizione.
Come sottolineato dal nuovo titolo Il non-senso della vita 3.0, ho dunque deciso di modificarne la natura, e di permettere la partecipazione soltanto a chi avrà avuto un commento già approvato in precedenza. D’altronde, lasciando le portespalancate e incustodite si corre il rischio di trovare la propria casa non solo invasa di insetti e imbrattata di escrementi, ma anche trasformata in un delirio alla Project X.
Spero che questo risolva semplicemente e incruentemente il problema dei pervertiti del blog. Peccato che non sia possibile sbarazzarsi in maniera altrettanto semplice e incruenta dei pervertitori della politica.
donne ultraviolette
Siamo donne ultraviolette: frequenze al di là del visibile e della televisione. Ultraviolette del pensiero, vorremmo ri/fondare i rapporti fra i SESSI, e verso il MONDO, sulla base del RISPETTO.
METEMPSICOSI RELOATED
Qui non troverete ‘verità’ solo ‘informazioni’ tradotte, quelle le cui conclusioni sarete VOI a dover confrontare ed approfondire…
superficaoca channel
Ho un Q.I. così ALTO (anche senza tacchi) che mi vergogno. Motti del Superficaoca Channel:1. PRESTO!! che è TARDI !!!!
Amnesty International
Amnesty International è un’Organizzazione non governativa indipendente, una comunità globale di difensori dei diritti umani che si riconosce nei principi della solidarietà internazionale. L’associazione è stata fondata nel 1961 dall’avvocato inglese P
La Rete delle Donne
Per i nostri diritti, e per il bene di tutti, è il momento di unirci, cercando l’amicizia e il sostegno degli uomini che non sentono il bisogno di schiacciare le donne, per tentare un cambio di paradigma.
Anagen.net
un portale di integratori ,ricco di spiegazioni scientifiche
Fondazione Valsè Pantellini
Gli studi sull’efficacia dell’ascorbato di potassio nella cura del cancro (vai al post sull’argomento)
Ivan Ingrilli (grillo parlante)
Questo blog cerca di informare sui pericoli che ci vengono nascosti ai danni della nostra salute, sulle leggi che influenzano la nostra liberta’ di scelta e su quelle corporazioni che lucrano promuovendo i loro prodotti, danneggiando la scienza e le soluz