Chinese Traditional Erhu Music
Shunga is a Japanese term for erotic art…
Most shunga are a type of ukiyo-e, usually produced in woodblock print format in the 18th and 19th centuries…
The ukiyo-e movement as a whole sought to express an idealization of contemporary urban life and appeal to the new chōnin class… Following the aesthetics of everyday life, Edo period shunga varied widely in its depictions of sexuality…
As a subset of ukiyo-e it was enjoyed by all social groups in the Edo period, despite being out of favor with the shogunate…
Almost all ukiyo-e artists made shunga at some point in their careers, and it did not detract from their prestige as artists…
This is a series of contemporary shunga titled “Cherry Blossom Shunga…”
These shunga are “copies from ancient woodblock prints of famous Japanese artists, with a free choice of colors, scenery and namely, textures in kimonos, always with gold leaf applications…
Carefully painted, with attention to details and lines, to the expressions of faces, to the harmony in the picture…
BBC Shunga Japanese Love and art Documentary Education Kama sutra in Japan Documentary 2016
Lo strazio..dell’anima umana..per la perdita di un amore…
una delle più belle canzoni napoletane..conosciuta in tutto il mondo..è
CORE ‘NGRATO…
molti,però, non conoscono le parole di questa canzone..
che descrive lo stato d’animo..di un un uomo.. lasciato dalla sua amata.
è una poesia..drammatica.
Sono esperienze di sofferenza..che ,quasi tutti,esperimentiamo almeno..una volta nella vita.
Core ‘ngrato è una canzone classica napoletana, il cui testo fu scritto nel 1911 dall’emigrato calabrese Riccardo Cordiferro, pseudonimo di Alessandro Sisca, nato a San Pietro in Guarano (CS) (dove il padre, Francesco Sisca, era impiegato presso il Municipio), trasferitosi per terminare gli studi a Napoli, città d’origine della madre Emilia Cristarelli, e successivamente emigrato a New York. La canzone fu musicata da Salvatore Cardillo.
Come per altre canzoni classiche napoletane, Core ‘ngrato è dedicata al tema dell’amore non corrisposto o deluso. In particolare il testo è dedicato ad una non meglio identificata Caterina (Catarì), nel momento dell’abbandono del poeta da parte di quest’ultima. In un crescendo di disperazione, vengono narrate tutte le fasi della fine dell’amore, dalle prime “parole amare” che suscitano nel poeta un doloroso stupore; al momento della comprensione della straziante rottura “cosa vogliono dire/questi discorsi che mi danno gli spasimi”; a quello, iterato nel ritornello, dell’appello al “cuore ingrato” cui il poeta aveva affidato la propria vita, ed alla rapida dimenticanza di quest’ultimo; a quello, posteriore all’abbandono, della ricerca vana del conforto nella religione.
Riccardo Cordiferro and The Origins of La Follia
La voce è di Enrico Caruso..riconosciuto anche dai tenori attuali..come il più grande tenore della storia..
Le parole sono queste..in napoletano..ed in .inglese.
Digitally remastered version.
Text written by Salvatore Cardillo in 1911 for Caruso.
Catari, Catari, pecche me dice sti parole amare,
pecche me parle e ‘o core me turmiente, Catari?
Nun te scurda ca t’aggio date ‘o core, Catari,
nun te scurda!
Catari, Catari, che vene a dicere stu parla ca me da spaseme?
Tu nun’nce pienze a stu dulore mio,
tu nun’nce pienze, tu nun te ne cure.
Core, core, ‘ngrato,
t’aie pigliato ‘a vita mia,
tutt’e passato e
nun’nce pienze chiu!
Catari, Catari…
tu nun `o ssaje ca
fino e `int`a na chiesa
io so’ trasuto e aggiu pregato a Dio,
Catari.
E ll`aggio ditto pure a `o cunfessore:
sto’a suffri pe` chella lla…
sto’a suffri,
sto’a suffri nun se p? credere…
sto’a suffri tutte li strazie!`
E `o cunfessore,ch’e perzona santa,
mm`ha ditto: `Figliu mio
lassala sta!…
English: Ungrateful Heart
Caterina, Caterina, why do you say those bitter words?
Why do you speak and torment my heart, Caterina?
Don’t forget, I gave you my heart, Caterina,
don’t forget.
Caterina, Caterina, why do you come and say those words that hurt me so much?
You don’t think of my pain,
you don’t think, you don’t care.
Ungrateful heart,
you have stolen my life.
Everything is finished
and you don’t care any more!
Catarí’, Catarí’
you do not know that even in church
I bring my prayers to God, Catari.
And I recount my confession to the priest: “I am suffering
from such a great love.”
I’m suffering,
I’m suffering from not knowing your love,
I’m suffering a sorrow that tortures my soul.
And I confess, that the Holy Mother
spoke to me: “My son, let it be, let it be.”
Italiano
Caterina! Caterina!
Perché mi dici queste parole amare?
Perché mi parli e il cuore
mi tormenti, Caterina?
Non dimenticare che ti ho dato il cuore, Caterina
Non dimenticartelo
Caterina, Caterina che cosa vogliono dire
questi discorsi che mi danno gli spasimi?
Tu non ci pensi a questo cuore mio
Tu non ci pensi, tu non te ne curi
Cuore, cuore ingrato
Ti sei preso la mia vita
Tutto è passato
e non ci pensi più
Caterina, Caterina
tu non lo sai che fino a dentro alla chiesa
io sono entrato e ho pregato Dio, Caterina
E l’ho detto anche al confessore
Io sto soffrendo
per quella là
Sto soffrendo
Sto soffrendo, non si può credere
Sto soffrendo tutti gli strazi
E il confessore che è persona santa
Mi ha detto: Figlio mio, lasciala stare, lasciala stare
Cuore, cuore ingrato
Ti sei preso la mia vita
Tutto è passato
e non ci pensi più
una vresione femmiline..della soprano Maria Callas..Core ‘ngrato..
C’e’ un bel filmato utile per conoscere Frida Kahlo lo potere qui sotto
(Frida Kahlo su una copertina di VOGUE)
“Ho subito due gravi incidenti nella mia vita… il primo è stato quando un tram mi ha travolto e il secondo è stato Diego Rivera.”
Forse è proprio vero..che “tutto non succede per caso”
Frida Kahlo ha vissuto solo 47 anni..una vita marchiata da un dolore fisico indicibile..e da un’amore ..ugualmente straziante. ma l’hanno trasformata in una creatura impensabile,incredibile,inimmaginabile.
Nacque a Coyoacán, una delegazione di Città del Messico, il 6 luglio del 1907, figlia di Guillermo Kahlo (nato Karl Wilhelm Kahlo; 1871-1941), un fotografo tedesco, nato a Pforzheim (nell’odierno Baden-Württemberg) da una famiglia ebraica di origine ungherese, e di Matilde Calderón y González, una benestante messicana di origini spagnole ed amerinde. Frida fu una pittrice dalla vita travagliata. Le piaceva dire di essere nata nel 1910, poiché si sentiva profondamente figlia della rivoluzione messicana di quell’anno e del Messico moderno. La sua attività artistica ha avuto di recente una rivalutazione, in particolare in Europa, con l’allestimento di numerose mostre. Affetta da spina bifida, che i genitori e le persone intorno a lei scambiarono per poliomielite (ne era affetta anche sua sorella minore), fin dall’adolescenza manifestò una personalità molto forte, unita a un singolare talento artistico e uno spirito indipendente e passionale, riluttante verso ogni convenzione sociale.[1] Studiò inizialmente al Colegio Alemán, una scuola tedesca, e nel 1922, aspirando a diventare medico, s’iscrisse alla Escuela Nacional preparatoria. Qui si legò ai Cachuchas, un gruppo di studenti con un berretto come segno distintivo, sostenitori del socialismo nazionale, e iniziò a dipingere per divertimento i ritratti dei compagni di studio. Il gruppo ammira il rivoluzionario José Vasconcelos e si occupava in particolare di letteratura; molte attenzioni erano riservate soprattutto a Alejandro Gómez Arias, studente di diritto e giornalista, capo spirituale e ispiratore dei Cachuchas e di cui Frida si innamorò.
Un evento terribile, il 17 settembre 1925, all’età di 18 anni, cambiò drasticamente la sua vita e la rinchiuse in una profonda solitudine che ebbe solo l’arte come unica finestra sul mondo. Frida all’uscita di scuola salì su un autobus con Alejandro per tornare a casa e pochi minuti dopo rimase vittima di un incidente causato dal veicolo su cui viaggiava ed un tram. L’autobus finì schiacciato contro un muro. Le conseguenze dell’incidente furono gravissime per Frida: la colonna vertebrale le si spezzò in tre punti nella regione lombare; si frantumò il collo del femore e le costole; la gamba sinistra riportò 11 fratture; il piede destro rimase slogato e schiacciato; la spalla sinistra restò lussata e l’osso pelvico spezzato in tre punti. Inoltre, un corrimano dell’autobus le entrò nel fianco e le uscì dalla vagina. Nel corso della sua vita dovette subire ben 32 operazioni chirurgiche. Dimessa dall’ospedale, fu costretta ad anni di riposo nel letto di casa, col busto ingessato. Questa situazione la spinse a leggere libri sul movimento comunista e a dipingere. Il suo primo lavoro fu un autoritratto, che donò al ragazzo di cui era innamorata.
Da ciò la scelta dei genitori di regalarle un letto a baldacchino con uno specchio sul soffitto,in modo che potesse vedersi, e dei colori. Iniziò così la serie di autoritratti. “Dipingo me stessa perché passo molto tempo da sola e sono il soggetto che conosco meglio” affermò. Dopo che le fu rimosso il gesso riuscì a camminare, con dolori che sopportò per tutta la vita. Fatta dell’arte la sua ragion d’essere, per contribuire finanziariamente alla sua famiglia, un giorno decise di sottoporre i suoi dipinti a Diego Rivera, illustre pittore dell’epoca, per avere una sua critica.
5. Un marco especial le permitía escribir y pintar acostada acostado. “Me río de la muerte, que no quita lo mejor que hay en mí …”
Rivera rimase assai colpito dallo stile moderno di Frida, tanto che la prese sotto la propria ala e la inserì nella scena politica e culturale messicana. Divenne un’attivista del Partito Comunista Messicano a cui si iscrisse nel 1928. Partecipò a numerose manifestazioni e nel frattempo si innamorò di Diego Rivera.
(foto di Tina Modotti, “Diego Rivera e Frida Kahlo alla manifestazione del 1° maggio”, 1929)
Nel 1929 lo sposò (lui era al terzo matrimonio), pur sapendo dei continui tradimenti a cui sarebbe andata incontro. Conseguentemente alle sofferenze sentimentali ebbe anche lei numerosi rapporti extraconiugali, comprese varie esperienze omosessuali.[1]
Sono stati fatti dei film biografici sulla vita di Frida
“Diego es mi hijo, mi amigo Diego, Diego es artista, Diego mi padre, Diego, mi amante, mi marido, Diego, Diego, mi madre, yo mismo soy Diego, Diego es todo. ”
Frida Kahlo incontra Diego Rivera negli anni Venti, quando lui era già un artista affermato e lei ancora una studentessa. Si sposarono nel 1929 ma dopo dieci anni divorziarono a causa dei continui tradimenti di lui (tra le sue amanti ci fu anche la sorella di Frida, Cristina Kahlo).
FRIDA KAHLO A DIEGO RIVERA, 23 LUGLIO 1935.
“Una certa lettera, vista per caso, in una certa giacca, di un certo signore, scritta da una certa signorina che viene dalla lontana e maledetta Germania, e che immagino dev’essere colei che Willi Valentiner ha mandato qui a spassarsela con scopi «scientifici», «artistici» e «archeologici»… mi ha causato molta rabbia e, a dir la verità, gelosia… Perché dovrei essere così sciocca e permalosa da non capire che le lettere, le tresche, e insegnanti di… inglese, le modelle gitane, le assistenti di «buona volontà», le allieve interessate all’«arte della pittura» e le inviate plenipotenziarie da luoghi lontani sono solo avventure, e che in fondo io e te ci amiamo moltissimo, e anche se passiamo attraverso innumerevoli avventure, porte sbattute, insulti e lamenti a livello internazionale, continuiamo ad amarci? Credo che dipenda dal fatto che sono un tantino stupida perché tutte queste cose sono successe e si sono ripetute durante i sette anni vissuti insieme; e tutta la rabbia che ho ingoiato mi ha semplicemente fatto capir meglio che ti amo più della mia stessa vita, e che anche se tu non mi ami allo stesso modo, comunque un po’ mi ami – non è così? E pur se ne dubito, mi rimarrà sempre la speranza che sia così, e di questo mi accontento… Amami un poco io ti adoro.”
L’amore però non era finito: un anno dopo Rivera tornò da lei. Frida e Rivera si risposarono e furono insieme fino alla morte di lei nel 1954.
“El re-casamiento funciona bien. Poca cantidad de pleitos, mayor entendimiento mutuo, y de mi parte menos investigaciones de tipo molón, respecto a las otras damas que de repente ocupan un lugar preponderante en su corazón.Así es que tu podrás comprender que por fin ya supe que la vida es así y lo demás es pan pintado (nada mas que una ilusión).”Frida Kahlo
In quegli anni al marito Rivera furono commissionati alcuni lavori negli USA, come il muro all’interno del Rockefeller Center di New York, e gli affreschi per la Esposizione universale di Chicago. A seguito dello scalpore suscitato dall’affresco nel Rockefeller Center, in cui un operaio aveva il volto di Lenin, gli furono revocate tali commissioni. Nello stesso periodo di soggiorno a New York, Frida rimase incinta, per poi avere un aborto spontaneo a causa dell’inadeguatezza del suo fisico: ciò la scosse molto e decise di tornare in Messico col marito.
Quel che l’acqua mi ha dato (o Ciò che ho visto nell’acqua, 1938) non è solo un quadro. È un flusso di coscienza, un sommario dell’opera di Frida Kahlo, della sua vita e dei suoi traumi. È lo specchio dei suoi sogni ed incubi, un compendio del suo passato ed un punto di partenza per i suoi quadri futuri. Ricorrono gli elementi chiave della sua opera: le origini, le radici, la tradizione messicana, i simboli, il dolore. Ci sono dettagli presi da alcuni quadri precedenti, ed altri che invece si ripresenteranno nei prossimi, ad anni di distanza, come se fra le immagini emerse dall’acqua ci fossero anche premonizioni, idee in divenire.
Il grande assente è il marito, Diego Rivera, quasi un’accettazione da parte dell’artista dell’inevitabilità del loro divorzio, che infatti avverrà nel 1939. Manca anche il suo autoritratto, leitmotiv della sua opera; non c’è nemmeno una figura dalle sopracciglia accentuate, che di solito serve ad indicare la sua presenza. La traccia è nel piede destro, reso deforme dalla polio e, almeno nel quadro, ferito. È così che sappiamo che quei piedi sono i suoi, che le immagini che affiorano dall’acqua sono sue. Ma per saperlo, per capirlo, dobbiamo condividere il suo punto di vista, guardando quei piedi come se fossero i nostri – e questa è forse la chiave non solo del quadro, ma dell’opera intera di Frida Kahlo. Ed è per questo che, per vedere appieno ciò che le ha dato l’acqua, in quella stessa vasca, in quella stessa acqua, in qualche modo dobbiamo entrarci anche noi. Anche a costo di inventaci una storia che di vero non ha quasi niente.
I due decisero di vivere in due case separate, collegate da un ponte, in modo da avere ognuno i propri spazi “da artista”. Nel 1939 divorziarono a causa del tradimento di Rivera con Cristina Kahlo, la sorella di Frida.
(Le due Fride 1939) (non sono un critico d’arte..per me rappresenta ” Frida amata e Frida tradita”
La lettera mai spedita (scritta nel suo diario)di Frida Kahlo a Diego Rivera
“La mia notte senza di te è un cuore ridotto a uno straccio”
La storia d’amore fra Frida Kahlo e Diego Rivera è sicuramente una delle più belle e tormentate che la storia ricordi. Entrambi pittori ed artisti tout court, si innamorano perdutamente. Frida accetta di sposarlo pur sapendo dei tradimenti ai quali sarebbe andata incontro. Uno di questi (quello di Rivera con la sorella di Frida) è talmente insopportabile da costringerla a chiedere il divorzio. Era il 1939.
“La mia notte… che non vorrei più… La mia notte è come un grande cuore che pulsa. Sono le tre e trenta del mattino. La mia notte è senza luna. La mia notte ha grandi occhi che guardano fissi una luce grigia che filtra dalle finestre. La mia notte piange e il cuscino diventa umido e freddo. La mia notte è lunga e sembra tesa verso una fine incerta. La mia notte mi precipita nella tua assenza. Ti cerco, cerco il tuo corpo immenso vicino al mio, il tuo respiro, il tuo odore. La mia notte mi risponde: vuoto; la mia notte mi dà freddo e solitudine. Cerco un punto di contatto: la tua pelle. Dove sei? Dove sei? Mi giro da tutte le parti, il cuscino umido, la mia guancia vi si appiccica, i capelli bagnati contro le tempie. Non è possibile che tu non sia qui. La mie mente vaga, i miei pensieri vanno, vengono e si affollano, il mio corpo non può comprendere. Il mio corpo ti vorrebbe. Il mio corpo, quest’area mutilata, vorrebbe per un attimo dimenticarsi nel tuo calore, il mio corpo reclama qualche ora di serenità. La mia notte è un cuore ridotto a uno straccio. La mia notte sa che mi piacerebbe guardarti, seguire con le mani ogni curva del tuo corpo, riconoscere il tuo viso e accarezzarlo. La mia notte mi soffoca per la tua mancanza. La mia notte palpita d’amore, quello che cerco di arginare ma che palpita nella penombra, in ogni mia fibra. La mia notte vorrebbe chiamarti ma non ha voce. Eppure vorrebbe chiamarti e trovarti e stringersi a te per un attimo e dimenticare questo tempo che massacra. Il mio corpo non può comprendere. Ha bisogno di te quanto me, può darsi che in fondo, io e il mio corpo, formiamo un tutt’uno. Il mio corpo ha bisogno di te, spesso mi hai quasi guarita. La mia notte si scava fino a non sentire più la carne e il sentimento diventa più forte, più acuto, privo della sostanza materiale. La mia notte mi brucia d’amore. Sono le quattro e trenta del mattino. La mia notte mi strema. Sa bene che mi manchi e tutta la sua oscurità non basta a nascondere quest’evidenza che brilla come una lama nel buio, la mia notte vorrebbe avere ali per volare fino a te, avvolgerti nel sonno e ricondurti a me. Nel sonno mi sentiresti vicina e senza risvegliarti le tue braccia mi stringerebbero. La mia notte non porta consiglio. La mia notte pensa a te, come un sogno a occhi aperti. La mia notte si intristisce e si perde. La mia notte accentua la mia solitudine, tutte le solitudini. Il suo silenzio ascolta solo le mie voci interiori. La mia notte è lunga, lunga, lunga. La mia notte avrebbe paura che il giorno non appaia più ma allo stesso tempo la mia notte teme la sua apparizione, perché il giorno è un giorno artificiale in cui ogni ora vale il doppio e senza di te non è più veramente vissuta. La mia notte si chiede se il mio giorno somiglia alla mia notte. Cosa che spiegherebbe la mia notte, perché tempo anche il giorno. La mia notte ha voglia di vestirmi e di spingermi fuori per andare a cercare il mio uomo. Ma la mia notte sa che ciò che chiamano follia, da ogni ordine, semina disordine, è proibito. La mia notte si chiede cosa non sia proibito. Non è proibito fare corpo con lei, questo, lo sa, ma si irrita nel vedere una carne fare corpo con lei sul filo della disperazione. Una carne non è fatta per sposare il nulla. La mia notte ti ama fin nel suo intimo, e risuona anche del mio. La mia notte si nutre di echi immaginari. Essa, può farlo. Io, fallisco. La mia notte mi osserva. Il suo sguardo è liscio e si insinua in ogni cosa. La mia notte vorrebbe che tu fossi qui per insinuarsi anche dentro di te con tenerezza. Lamia notte ti aspetta. Il mio corpo ti attende. La mia notte vorrebbe che tu riposassi nell’incavo della mia spalla e che io riposassi nell’incavo della tua. La mia notte vorrebbe essere spettatrice del mio e del tuo godimento, vederti e vedermi fremere di piacere. La mia notte vorrebbe vedere i nostri sguardi e avere i nostri sguardi pieni di desiderio. La mia notte vorrebbe tenere fra le mani ogni spasmo. La mia notte diventerebbe dolce. La mia notte si lamenta in silenzio della sua solitudine al ricordo di te. La mia notte è lunga, lunga, lunga. Perde la testa ma non può allontanare la tua immagine da me, non può dissipare il mio desiderio. Sta morendo perché non sei qui e mi uccide. La mia notte ti cerca continuamente. Il mio corpo non riesce a concepire che qualche strada o una qualsiasi geografia ci separi. Il mio corpo diventa pazzo di dolore di non poter riconoscere nel cuore della notte la tua figura o la tua ombra. Il mio corpo vorrebbe abbracciarti nel sonno. Il mio corpo vorrebbe dormire in piena notte e in quelle tenebre essere risvegliato al tuo abbraccio. La mia notte urla e si strappa i veli, la mia notte si scontra con il proprio silenzio, ma il tuo corpo resta introvabile. Mi manchi tanto, tanto. Le tue parole. Il tuo colore. Fra poco si leverà il sole.”
Rivera tornò da Frida un anno dopo: malgrado i tradimenti non aveva smesso di amarla. Le fece una nuova proposta di matrimonio che lei accettò con riserve, in quanto era rimasta pesantemente delusa dall’infedeltà del coniuge. Si risposarono nel 1940 a San Francisco. Da lui aveva assimilato uno stile naïf, che la portò a dipingere piccoli autoritratti ispirati all’arte popolare ed alle tradizioni precolombiane. La sua intenzione era, ricorrendo a soggetti tratti dalle civiltà native, di affermare la propria identità messicana.
Il suo dispiacere maggiore fu quello di non aver avuto figli. La sua appassionata (ed all’epoca discussa) storia d’amore con Rivera è raccontata in un suo diario.
Frida Kahlo mantuvo hacia el pintor Diego Rivera un amor incondicional a pesar de ser “gordo, feo, bohemio, comunista, ateo, controvertido y vividor”, según la familia de ésta. Frida le soportó diversas aventuras amorosas cuando Diego se convirtió en su marido e incluso le perdonó la relación que éste mantuvo con su hermana Cristina.
Nonostante ..a volte affiorava la sua disperazione..e scriveva cose come questa
No obstante a veces afloraba su desesperación y le escribía cosas como esta:
“Me importa una mierda lo que piense el mundo. Yo nací puta, yo nací pintora, yo nací jodida. Pero fui feliz en mi camino. Tú no entiendes lo que soy. Yo soy amor, soy placer, soy esencia, soy una idiota, soy una alcohólica, soy tenaz. Yo soy; simplemente soy… Eres una mierda.”
Frida kahlo a Diego Rivera,(una lettera mai inviata)
Magdalena Carmen Frida Kahlo y Calderón, una carta nunca entregada a Diego Rivera
Ebbe numerosi amanti, di ambo i sessi, con nomi che nemmeno all’epoca potevano passare inosservati: il rivoluzionario russo Lev Trockij e il poeta André Breton, fra i tanti altri e altre. Fu amica e probabilmente amante di Tina Modotti, militante comunista e fotografa nel Messico degli anni Venti. Molto probabilmente esercitarono un certo fascino su Frida Kahlo anche la russa Aleksandra Kollontaj (1872-1952), che visse in Messico dal 1925 al 1926 come ambasciatrice di Mosca, la ballerina, coreografa e pittrice Rosa Rolando (1897-1962) e la cantante messicana Chavela Vargas (1919-2012).[2] In Messico, durante il periodo post-rivoluzionario, le donne della generazione di Frida Kahlo arrivavano all’emancipazione principalmente per il tramite della politica; probabilmente anche per la stessa ragione la pittrice si iscrisse al Partito Comunista Messicano. Inoltre, come Sarah M. Lowe afferma, “il partito presentava anche un’altra attrattiva: la presenza e la militanza di numerose donne dinamiche la cui indipendenza e autodeterminazione possono aver incoraggiato la pittrice a unirsi a loro”.
La pittrice messicana gli scrisse 25 lettere d’amore dal 1946 al ‘49, il tempo della loro storia clandestina
La storia d’amore tra Frida Kahlo e Diego Rivera è stata piena di luci e ombre. Tante persone, liason, amori hanno condizionato il loro leggendario rapporto. Le crisi con Rivera talvolta la allontanavano da lui, ma lei gli scriveva comunque “Più mi tradisci, più io ti amo”.
Recentemente, però, è stato scoperto un carteggio che introduce una nuova figura nella storia, a volte fin troppo romanzata, della coppia messicana. José Bartoli sarebbe stato l’amante segreto di Frida per ben tre anni ma fino a qualche mese fa nessuno ne sapeva nulla.
LA STORIA CLANDESTINA – La pittrice messicana conobbe il suo José Bartoli a New York nell’agosto del ‘46. Lei era ricoverata per l’ennesimo intervento alla spina dorsale dopo il terribile incidente dell’autobus. Lui era un illustratore catalano, bello e aitante, reduce dai combattimenti della guerra civile spagnola e appena fuggito da un campo di concentramento nazista. Probabilmente il gelosissimo Diego non sapeva nulla dell’artista spagnolo che la moglie amò tanto appassionatamente. La storia con José finì senza un motivo vero e proprio motivo. S’interruppe il carteggio epistolare e la loro relazione. Fino alla morte dell’uomo, avvenuta nel 1995, molto dopo la sua Mara.
“Bartoli,ieri sera mi sono sentita come se tante ali mi accarezzassero tutta,
come se le punte delle tue dita avessero bocche che baciavano la mia pelle.
Gli atomi del mio corpo sono tuoi e vibrano insieme così che ci amiamo l’un l’altra.
Voglio vivere ed essere forte per amarti con tutta la tenerezza che ti meriti, per darti tutto ciò che c’è di buono in me, così che tu non ti sentirai solo. […]
Sento di averti amato da sempre, da prima che tu nascessi, da prima che tu fossi concepito. A volte sento di aver partorito me stessa.
Dal piccolo letto su cui sono sdraiata guardo la linea elegante del tuo collo, la raffinatezza del tuo viso, le tue spalle e la tua schiena ampia e forte.
Provo ad avvicinarmi a te il più possibile così che possa percepirti, per godere della tua incomparabile carezza, il piacere che è toccarti…
se non ti tocco, le mie mani, la mia bocca e tutto il mio corpo perdono la sensazione.
So che dovrò immaginarti quando sarai andato via. […]
Non negarmi gli altri desideri che danno completezza a ciò che provo per te e che può soltanto essere chiamato amore. […] E l’unica cosa che esiste per me in questo momento è che ti amo.
In un mondo migliore senza ipocrisia, stupidità, miseria e tradimento… non abbandonarmi. Tienimi dentro di te, ti imploro.
Voglio essere la tua casa, tua madre, la tua amante e il tuo figlio… Ti amerò dal panorama che vedi, dalle montagne, dagli oceani e dalle nuvole, dal più sottile dei sorrisi e a volte dalla più profonda disperazione, dal tuo sonno creativo, dal tuo piacere profondo o passeggero, dalla tua stessa ombra o dal tuo stesso sangue. Guarderò attraverso la finestra dei tuoi occhi per vedere te.
Bartolí – anoche sentía como si muchas alas me acariciaran toda, como si en la yema de tus dedos hubiera bocas que me besaran la piel. Los átomos de mi cuerpo son los tuyos y vibran juntos para querernos. Quiero vivir y ser fuerte para amarte con toda la ternura que tú mereces, para entregarte todo lo que de bueno haya en mí, y que sientas que no estás solo. Cerca o lejos, quiero que te sientas acompañado de mí, que vivas intensamente conmigo, pero sin que mi amor te estorbe para nada en tu trabajo ni en tus planes, que forme yo parte tan íntima en tu vida, que yo sea tú mismo, que si te cuido, nunca será exigiéndote nada, sino dejándote vivir libre, porque en todas tus acciones estará mi aprobación completa. Te quiero como eres, me enamora tu voz, todo lo que dices, lo que haces, lo que proyectas. Siento que te quise siempre, desde que naciste, y antes, cuando te concibieron. Y a veces siento que me naciste a mí. Quisiera que todas las cosas y las gentes te cuidaran y te amaran y estuvieran orgullosas, como yo, de tenerte. Eres tan fino y tan bueno que no mereces que te hiera la vida. Te escribiría horas y horas, aprenderé historias para contarte, inventaré palabras nuevas para decirte en todas que te quiero como a nadie. 29 de agosto (1946) Nuestra primera tarde solos.
“Io Bartoli-Jose-Giuseppe-il mio rosso, non so come si scrivono le lettere d’amore”
Invece l’artista ci ha lasciato oltre 100 pagine scritte a mano tra il 1946 e il 1949. Parole intense da cui trapela la devozione per l’uomo, e un sentimento che si muoveva fra desiderio e necessità:
Mucho se ha dicho sobre la tumultosa relación de la pintora mexicana con Diego Rivera, pero muy poco del romance que ella mantuvo, durante diez años, con Nickolas Muray, fotógrafo de celebridades
Esas cartas fueron a parar a manos del psiquiatra y escritor mexicano Salomón Grimberg, quien se ha dedicado a estudiar la vida de Frida. En 2005 reunió el material en el libro Nunca te olvidaré. De Frida Kahlo para Nick Muray: fotografías y cartas inéditas. Así es posible apreciar lo que en Kahlo -quien externalizaba todo- despertó aquel amor. En una de las misivas, fechada en París, en 1939, escribe: Mi adorable Nick, esta mañana, después de tantos días de espera, llegó tu carta. Me sentí tan feliz que, antes de comenzar a leerla, me puse a llorar. Mi niño, realmente no puedo quejarme de nada en la vida mientras tú me ames y yo a ti. Es tan real y hermoso que me hace olvidar todo los dolores y los problemas, incluso me hace olvidar la distancia.
En otra se lee: En una escultura cerca de la chimenea, veo, claramente, a la primavera brincando en el aire, y puedo oír tu risa, justo como la de un niño, cuando te sale bien. Oh, mi querido Nick, te quiero tanto. Tanto te necesito, que me duele el corazón.
Frida Kahlo en Nueva York, 1946. Foto: Nickolas Muray.
Nickolas Muray y Frida Kahlo, en la Casa Azul. Coyoacán, Ciudad de México, 1939.
L’amore di Frida kahlo per Carlos Pellicer
Noviembre de 1947 No sé cómo me atrevo a escribirte, pero ayer dijimos que me hará bien
Perdona la pobreza de mis palabras, yo sé que tú sentirás que te hablo con mi verdad, que ha sido tuya siempre, y eso es lo que cuenta
¿Se pueden inventar verbos? Quiero decirte uno:
Yo te cielo, así mis alas se extienden enormes para amarte sin medida
Siento que desde nuestro lugar de origen hemos estado juntos, que somos de la misma materia, de las mismas ondas, que llevamos dentro el mismo sentido Tu ser entero, tu genio y tu humildad prodigiosos son incomparables y enriqueces la vida; dentro de tu mundo extraordinario, lo que yo te ofrezco es solamente una verdad más que tú recibes y que acariciará siempre lo más hondo de ti mismo Gracias por recibirlo, gracias porque vives, porque ayer me dejaste tocar tu luz más íntima, y porque dijiste con tu voz y tus ojos lo que yo esperaba toda mi vida
Para escribirte mi nombre será Mara, ¿de acuerdo?
Si tú necesitas alguna vez darme tus palabras, que serían para mí la razón más fuerte de seguir viviéndote, escríbeme sin temor a “Lista de Correos”, Coyoacán ¿Quieres?
Carlos maravilloso,
Llámame cuando puedas, por favor
Mara (està per Maravilla..il nome con cui la chiamava Carlos)
Carlos Pellicer se encarga de las palabras de despedida, su carta para la eternidad:
Carlos Pellicer è incaricato per il discorso funebre,la sua lettera per l’eternità
“Una semana antes de tu partida, ¿te acuerdas?, yo estaba contigo, sentado en una silla, muy cerca de ti, contándote cosas, leyéndote los sonetos que había escrito para ti y que tanto te gustaban, y a mí también me gustaban porque a ti te gustaban. La enfermera te había inyectado. Creo que eran las diez. Comenzabas a dormirte y me habías indicado que me acercara. Te besé y puse tu mano derecha entre mis manos. ¿Te acuerdas? Luego, apagué la luz. Tú te dormiste y yo me quedé un momento para velar tu sueño. Afuera el cielo barrido, inundado, me acogió misteriosamente como tiene que ser. Me pareció que ya no podías más. Te confesaré que lloré por la calle cuando me dirigía al autobús para irme a mi casa. Ahora que por fin has encontrado la salvación para siempre, quisiera decirte, más bien repetirte, repetirte… En fin, tú lo sabes bien… Tú, como un jardín pisoteado por una noche sin cielo. Tú, como una ventana azotada por la tempestad. Tú, como un pañuelo empapado de sangre. Tú como una mariposa llena de lágrimas, como un día aplastado y roto, como una lágrima en un mar de lágrimas; araucaria cantarina, victoriosa, rayo de luz en el camino de todo el mundo… “Siempre estarás sobre la tierra viva, siempre serás motín lleno de auroras, la heroica flor de auroras sucesivas.”
“Una settimana prima che tu partissi,ti ricordi?Ero con te seduto su una sedia vicinissimo a te,ti raccontavo delle cose, ti leggevo dei sonetti,che avevo scritto per te e che tu amavi e anch’io li amavo perché li amavi tu. L’infermiera ti ha fatto la puntura alle 10. Cominciavi ad addormentarti e mi hai fatto cenno di avvicinarmi. Ti ho abbracciata e ho preso la tua mano destra fra le mie,ti ricordi? Poi ho spento la luce, ti sei addormentata ed io son rimasto un instante per vegliare sul tuo sonno. Fuori, il cielo spazzato via, inondato, mi ha accolto misteriosamente, mi sei parsa allo stremo delle forze,in strada ho pianto mentre andavo alla ricerca dell’autobus, per tornare a casa. Ora che hai finalmente ritrovato la tua salvezza per sempre,vorrei dirti…ripeterti…lo sai bene! Tu, come un giardino calpestato da una notte senza cielo,tu come una finestra frustata dalla tempesta,tu come un fazzoletto trascinato nel sangue,tu come una farfalla piena di lacrime,come un giorno schiacciato e rotto,come una lacrima in un mare di lacrime, arancaria che canta ,raggio di luce sul cammino di tutto il mondo!”
QUELLO FRA CARLOS E FRIDA FU UN GRANDE AMORE, SEPPUR VISSUTO E SOFFERTO
NONOSTANTE LEI FOSSE GRAVEMENTE AMMALATA,UNA STORIA STRUGGENTE….
LEI GRANDE E AMMIRATA PITTRICE E NON SOLO, LUI AFFERMATO POETA ED
ARCHEOLOGO. ENTRAMBI MESSICANI .
Con il passare degli anni, però, la salute peggiora. Nel 1953, sotto la minaccia di cancrena, le viene amputata la gamba destra. Eppure il suo ultimo dipinto, eseguito otto giorni prima di morire, è un estremo omaggio reso alla vita. Ritrae dei cocomeri che si stagliano, verdi e rossi, su un cielo azzurro e sulla polpa succosa e sensuale di una delle fette è scritto Viva la Vida. Un inno alla vita che nell’ultima pagina del suo diario acquista invece la forma di un addio definitivo: «Spero che l’uscita sia gioiosa e spero di non tornare mai indietro».
(alla pagina sopra indicata,troverete la descrizione del quadro. Inoltre,scorrendo verso il basso della pagina, ci sono altre immagini che potrete ingrandire)
Il mondo segreto di Frida Kahlo: abiti e accessori tornano alla luce
Alla morte di Frida Kahlo, nel 1954, suo marito, il pittore Diego Rivera, chiuse tutte le cose di sua proprietà in un bagno della loro casa di Messico City, chiedendo che la porta venisse aperta 15 anni dopo la propria morte. Rivera, che aveva sposato due volte la pittrice messicana, alla quale era stato sempre infedele (tradimenti che a sua volta Frida visse con alcuni dei più grandi nomi della sua epoca, da Trotsky a Tina Modotti), morì nel 1957. In realtà la stanza è rimasta chiusa fino al 2004 e nel 2013 il fotografo giapponese Ishiuchi Miyako ha potuto fotografare abiti, accessori e ogni oggetto privato della grande artista, creando un catalogo senza precedenti. Quelle immagini, dal grande valore storico, sono in mostra dal 14 maggio al 12 luglio presso la Michael Hoppen gallery di Londra. Si possono ammirare abiti e accessori che ricordano i quadri di Frida, che a causa degli anni di immobilismo, causati dal pauroso incidente che le martoriò il corpo facendola vivere fino a 47 anni in preda a dolori indicibili, realizzò molti autoritratti
9. “Me encanta el gran macho mexicano, que buscaba desde hace mucho tiempo.” Diego Rivera era mayor que Frida por 20 años gordo y mujeriego, con una lista de amantes interminable. Sin embargo, Frida se comprometió a casarse con él e intentar darle un hijo.
“Un giorno un uomo mi ha detto che facevo l’amore come una lesbica. Sono scoppiata a ridere. Gli ho chiesto se era un complimento. Mi ha risposto di sì.
Allora, gli ho raccontato che a mio avviso una donna gode con tutto il corpo, e che questo era il privilegio dell’amore fra donne. Una conoscenza più profonda del corpo dell’altra, suo simile, un piacere più totale. Il riconoscimento di un’alleata.
Nonostante l’avventura molto superficiale in cui ero stata coinvolta nella mia adolescenza, non sono sicura, se non avessi avuto l’incidente, che non avrei di nuovo sperimentato l’amore con un’altra donna.” [Rauda Jamis, Frida Kahlo, trad. di Flavia Celotto, TEA, Milano 2003, p. 212].
(questo suo discorso sembrerebbe sconfessare rapporti sessualmente lesbici..ciò non toglie che avesse amicizie intime con donne..anche lesbiche)
L’attrazione di Frida per le donne si può individuare già nella sua prima infanzia, quando strinse un tenerissimo e duraturo rapporto con l’amica Isabel Campos, ma si intensifica durante i suoi ultimi anni:“con il passare degli anni e via via che le sue condizioni fisiche le rendevano più difficili i rapporti con l’altro sesso, Frida si rivolse sempre di più verso le donne, sovente le donne legate sentimentalmente a Diego in quel momento” [H. Herrera, Frida. Vita di Frida Kahlo, cit., p. 247].
Ma ancora esemplare resta il rapporto che ebbe con la bellissima moglie di André Breton, Jacqueline Lamba (1910-1993); sicché alquanto eloquente risulta essere un frammento della lettera che Kahlo invia alla pittrice francese nell’aprile del 1939:
Da quando mi hai scritto, in un giorno così limpido e lontano, volevo spiegarti che non posso allontanarmi dai giorni né tornare indietro nel tempo fino a un’altra epoca. Non ti ho dimenticata – le notti sono lunghe e difficili. L’acqua. la nave, il molo e la partenza che ti rendeva così piccola ai miei occhi imprigionati in quella finestra rotonda che guardavi per conservarmi nel tuo cuore. Tutto ciò è intatto. Poi vennero i giorni, nuovi di te. Oggi vorrei che il mio sole ti toccasse. La tua bambina è la mia bambina, i burattini, sistemati con ordine nella grande stanza di vetro, appartengono ad entrambe. Lo huipil con i nastri violetti e rossicci è tuo. Mie le vecchie piazze della tua Parigi […]” [cit. da R. Fiocchietto, op. cit.].
Jacqueline Lamba dans un aquarium III – 1934
Jacqueline Lamba e Frida Kahlo, 1938
Fra le tante amanti o amiche intime di Kahlo si possono ricordare: la rivoluzionaria cubana Teresa Proenza, Elena Vàsquez Gòmez, l’artista Machila Armida, la poetessa Pita Amor,
la cantante Chavela Vargas, con la quale convisse per un certo periodo,
“Ama sin medida, sin límite, sin complejo, sin permiso, sin coraje, sin consejo, sin duda, sin precio, sin cura, sin nada. No tengas miedo de amar, verterás lágrimas con amor o sin él”, decía la dama del tequila, la mujer que intentó frenar sus excesos para resistir la vida que amaba y el amor que anhelaba y que a veces declaraba inexistente, como un invento de las noches de borracheras, esas que la hicieron leyenda y que la anclaron en los bares para siempre en el recuerdo. Allí está el histórico Tenampa de Ciudad de México, con un mural donde Chavela brinda con sus amigos de siempre: Pedro Almodóvar, Frida Khalo, Miguel Bosé, Joaquín Sabina, José Alfredo Jiménez, María Cotrina, con quien vivió hasta los últimos días de su vida.
l’attrice Maria Félix, quest’ultima dipinta tra le sue sopracciglia in un autoritratto, nonché l’amante ventiduenne della stessa Félix, una bellissima rifugiata spagnola che le fa da infermiera e dama di compagnia.
Ebbe contatti anche con l’attrice lesbica Dolores del Rio,cui regala il quadro intitolato
Due nudi in una foresta, raffigurante due donne in un esplicito atteggiamento erotico.
Oppure si può ancora ricordare Judith Ferreto, una lesbica costaricana che Frida chiama scherzosamente “generale fascista”, per il carattere irremovibile [R. Fiocchetto, op. cit.].
Inoltre, pare che per un certo periodo la figlia della marchesa Casati, Cristina Casati Hastings, ebbe una breve storia d’amore con Kahlo [vd. Patrick Marnham, Dreaming With His Eyes Open: A life of Diego Rivera, California 2000], durante la quale quest’ultima disegnò un ritratto dell’amica: “Un disegno a matita dice molto dell’altezzosa e sofisticata Lady Cristina Hastings, nata a Milano e educata a Oxford. L’aristocratica signora oscillava tra stati di noia assoluta e rabbia o umorismo esplosivi, che Frida trovava congeniali e divertenti.” [vd. H. Herrera, Frida. A biography of Frida Kahlo, Bloomsbury Publishing, London 2003, p. 122; questo frammento non compare nell’edizione italiana consultata(!)].
Le due amiche s’incontrarono a San Francisco, dove il visconte Hastings, da tempo interessato all’opera muralista di Rivera e intenzionato a conoscerlo, vi si era trasferito insieme alla moglie. Tra i quattro nacque un’amicizia che durò fino agli anni Trenta [Scot D. Ryersson, Michael Orlando Yaccarino, Infinita varietà. Vita e leggenda della Marchesa Casati, prefazione di Quentin Crisp, trad. di Elisabetta De Medio, Corbaccio, Milano 2003, pp. 234-235].
Inoltre, Kahlo – in segno d’amore – era solita appendere alla spalliera del letto alcune fotografie, tra queste vi era quella di Pita Amor, e scrivere a caratteri rossi i nomi delle persone che amava, il nome di María Félix è il primo della lista che adorna la camera da letto di Coyoacán:“Casa di Irene Bohus, Camera di María Félix, Frida Kahlo e Diego Rivera, Elena [Vazquez Gomez] e Teresita [Poenza], Coyoacán 1953,Casa di Machila Armida.” [cit. da R. Jamis, op. cit., p. 230].
Maria Félix, Diego Rivera, Armando Valdés Peza, Frida, y Enrique Alvarez F. 1950.
Diego en el pecho y María (Felix)entre las cejas 1954
Después de 1951, Frida sufría dolores tan fuertes que ya no era capaz de trabajar sin tomar sedantes…a veces con alcohol. Su medicación, cada vez más fuerte, podría ser la razón de que sus pinceladas cada vez eran menos precisas, las capas de pintura más gruesa, en contraste con el preciso detalle de sus cuadros anteriores.
Este es el ultimo autorretrato de Frida. En este autorretrato, Frida se pintó como una mujer joven con un retrato de Diego en su pecho y una cara que parece Jesucristo en el sol. Como prueba de que nunca perdió su sentido del humor, pintó un retrato de la actriz Maria Félix en su frente (Maria Félix fue una de las amantes de Diego).
Adolfo Best Maugard Frida Kahlo
Come si evince dalla lista, il nome della stessa pittrice appare accanto a quello del marito. Infatti, la pietra di paragone restava sempre Rivera, suo maestro e consorte. Kahlo stessa scrisse a uno dei suoi amanti che soltanto Diego avrebbe sempre occupato il posto più caldo del suo cuore.
Durante i mesi che seguirono il suo ritorno a San Angel Frida divenne sempre più la compañera e la complice di Diego. Lo assecondava, lo curava quando era ammalato, lottava contro di lui, lo puniva e lo amava. Lui la sosteneva, era orgoglioso dei suoi successi, ne rispettava le opinioni, la amava… e continuava a scopare a destra e a sinistra. Adesso, sempre più di frequente, lo faceva anche lei [H. Herrera, Frida. Vita di Frida Kahlo, cit., p. 131].
Le numerose relazioni extraconiugali, sia con donne sia con uomini, che la pittrice intrattenne con lo stesso trasporto romantico e passionale di sempre, erano sicuramente dovute alla difficile realtà coniugale che viveva con Rivera e al fatto che doveva confrontarsi continuamente con un amore non ricambiato con la stessa intensità. Rivera, dal canto suo, che aveva un debole per donne forti e indipendenti, sovente lesbiche, la spingeva tra le braccia delle sue amanti (per esempio, Frida diventa amica della ex moglie del consorte Guadalupe Marín), o delle donne che egli corteggiava invano, e talvolta se ne innamorava (come nel caso di María Félix), mentre dimostrava un forte e talvolta violento sentimento di gelosia nei confronti degli uomini. La loro unione appare subito caratterizzata da un’accentuata ambivalenza:
“La tua sessualità è ambigua, si legge nei tuoi quadri”, a volte mi è stato detto.
Credo che alludessero alle opere in cui il mio viso ha tratti mascolini, o ad alcuni particolari: in un tale quadro, to’, c’è una lumaca, simbolo di ermafroditismo… Ah, sì, e i miei eterni “baffi”! A questo proposito, devo confessarlo: è una storia con Diego. Una volta mi sono azzardata a depilarli, ed è andato su tutte le furie. A Diego piacciono i miei baffi, segno di distinzione, nell’Ottocento, delle donne della borghesia messicana che in al modo stentavano le loro origini spagnole (l’indio, si sa, è imberbe).
Credo che l’individuo sia molteplice: un uomo porta il segno della femminilità; una donna porta l’elemento uomo; entrambi portano in sé il figlio [R. Jamis,op. cit., p. 212].
Diego è eccitato dall’aspetto androgino di Frida, mentre la moglie dal grasso seno del marito:
È vero comunque che tanto Frida che Diego avevano sempre avuto un ben preciso versante androgino; entrambi erano attratti da ciò che del proprio sesso vedevano nel partner. Rivera amava «l’aria da ragazzino» di Frida e i suoi baffi da «Zapata»: una volta che se li rasò, andò su tutte le furie. Del marito lei amava la morbidezza e la vulnerabilità e anche i seni da uomo grasso; era quella la parte di Diego che Frida sapeva le avrebbe assicurato per sempre il bisogno del marito [H. Herrera, Frida. Vita di Frida Kahlo, cit., pp. 247-248].
La stessa Kahlo scrisse di Rivera: “Del suo petto bisogna dire che, se fosse sbarcato sull’isola governata da Saffo, non sarebbe stato giustiziato dalle guerriere. La sensibilità dei suoi seni meravigliosi lo avrebbero fatto ammettere. Persino così la sua virilità, così specifica e strana, lo rende desiderabile anche dove dominano imperatrici avide di amore mascolino” [cit. da Ibidem, p. 248].
L’amico della pittrice, van Heijenoort, nel suo libro di memorie In esilio con Trockij. Da Prinkipo a Coyoacan(Feltrinelli, Milano 1980) sottolinea il fatto che il lesbismo di Kahlo “non la rendeva mascolina. Era una specie di efebo, con l’aria da ragazzino e allo stesso tempo enfaticamente femminile” [cit. da H. Herrera,Frida. Vita di Frida Kahlo, cit., p. 132]. Un aspetto di cui ella si riappropriava ogni volta che si separava da Rivera, tagliandosi i capelli e indossando i pantaloni; inoltre, questo era un modo per liberarsi dei simboli codificati del femminile al fine di sancire la propria indipendenza: “Che nei tardi anni quaranta la parte mascolina di Frida si facesse più pronunciata è visibile negli autoritratti: diede ai suoi lineamenti un tocco più mascolino che mai, facendosi i baffi ancora più scuri di quanto in realtà non fossero” [Ibidem, p. 248].
Nella sua arte, a carattere fortemente autobiografico, se da una parte Kahlo si rappresenta come amazzone (vd. Autoritratto con i capelli tagliati, 1940), donna emancipata da qualunque stereotipo sociale, culturale e sessuale, dall’altra però fissa sulla tela un’immagine fortemente femminile, seducente, di moglie attenta nel compiacere il marito.
Anche il lesbismo di Kahlo non è mai esplicito nelle sue tele: “Come tutto ciò che riguarda la sua vita intima, il lesbismo di Frida appare nella sua arte. Ma non apertamente. Insieme all’amore di sé e alla dualità psichica. È suggerito negli autoritratti doppi e emerge in molti dipinti come una specie di atmosfera, una sensualità così profonda da essere sgombra delle polarità sessuali convenzionali, una fame di intimità così urgente da ignorarle differenze di genere” [Ibidem, p. 132].
Concludendo, Frida Kahlo spese la sua vita in una coraggiosa battaglia contro la sofferenza e le avversità che riuscì ad affrontare con un’incredibile forza creativa; forza che le venne, oltre da se stessa, dal suo profondo bisogno di amare e di essere amata sia da uomini sia da donne: “Tlazolteotl, dea dell’amore, dev’essere stata dalla mia parte. Sono stata amata, amata, amata – non abbastanza, ancora, perché non si ama mai abbastanza, poiché una vita non basta. E ho amato incessantemente. Nell’amore, nell’amicizia. Uomini, donne” [R. Jamis, op. cit., p. 212].
Una recensione è fatta di parole che devono combinarsi in frasi, frasi che rappresentino una situazione reale e che rimandino a essa in modo semplice; chi recensisce ha il duplice obbligo di significare qualcosa di concreto intuitivamente.
Obbligo che può invece trascurare chi realizza l’opera d’arte, e che infatti Marco Bellocchio, con Sangue del mio sangue, ha mandato cordialmente a spasso. “Non mi sono preoccupato di costruire, per questo film, un’architettura drammaturgica assoluta e perfetta. – ha dichiarato il regista a proposito della sua nuova pellicola, – La libertà è lo spirito di questo film“.
Ma sciogliamo un poco, innanzi tutto, i fili del racconto. Bobbio, prima età moderna: un francescano, morto suicida dopo una storia d’amore con Benedetta, una clarissa (Lidiya Liberman), viene inumato in terra sconsacrata; il soldato Federico, (Pier Giorgio Bellocchio), insofferente dell’indegna sepoltura del fratello, incita la comunità ecclesiastica di cui faceva parte il defunto a intentare un processo alla suora, accusandola di stregoneria, così da poter dimostrare che il fratello è morto non per mano propria, bensì per opera del Demonio. Tuttavia la somiglianza tra i due fratelli, il prete e il soldato, e il fascino della giovane monaca, non macheranno di esercitare la propria influenza sugli eventi.
Nel frattempo, ai nostri giorni il carcere di Bobbio è diventato un edificio pericolante che il Comune vorrebbe vendere a un privato, un miliardario russo; ma la vendita andrebbe a danneggiare gli interessi del “comitato” cittadino e in particolare del Conte (Roberto Herlitzka), che durante la notte, quando la sua natura lo lascia libero di uscire dalla sua prigione, escogiterà un piano affinché ciò che rappresenta perseveri nel suo male.
Prendendo spunto dalle parole dello stesso Bellocchio, proviamo a porre proprio la libertà come motivo del soggetto di Sangue del mio sangue: suor Benedetta, sottoposta dagli inquisitori a torture inumane volte a produrre una falsa confessione, a tutto ciò reagisce con il suo corpo immobile. Alla retorica pretesca, che occulta rabbia e mendacia dietro un muro di pomposità, risponde con il silenzio. “Benedetta è l’immagine di una bella libertà che non vuole arrendersi“, conferma Bellocchio, che pure ammette di essere ancora incapace di scindere la propria concezione della Chiesa dalla nozione di potere. Dai vincoli, in cui il potere dell’istituzione e dell’ingiustizia costringono l’uomo, solo il silenzio e la non-reazione possono garantirgli la sua libertà.
Ma il confronto tra potere e libertà resta una prova muscolare da entrambe le parti; a ben vedere, cioè, si presenta come un confronto tra due forme di potere. Perché in fondo che cosa sono il contatto fugace tra due sguardi, la presenza della bellezza e l’incontro tra due silenzi se non lacci della seduzione? Che altro è, se non potere, la passione che Benedetta è capace di suscitare?
Il carattere ambiguo della libertà è chiaramente denunciato dalla storia ambientata ai nostri giorni: il nemico del piccolo regime d’irregolarità istituito dal “comitato” non è l’equità o quant’altro possa venire accostato all’idea di libertà, ma solo un altro piccolo regime d’irregolarità. Il potere, rappresentato da un manipolo di farabutti, è minacciato da altri farabutti, non dai rappresentanti della libertà.
Ecco che allora questa bella illusione, la libertà, getta la maschera e rivela il suo potere mortifero.
Ma ricordiamoci le parole che Bellocchio ha speso in merito a Sangue del mio sangue: “Il mio non è un film all’americana, dove tutto è razionalistico e consequenziale“. Il regista ha messo in conto che non tutto torni e mette in guardia lo spettatore dalla ricerca, nel suo film, di una logica intuitiva, di una coerenza all’interno della quale sentirsi a proprio agio.Perché ogni ordine, con il suo carattere necessario, è anch’esso una forma di potere; potere che costringe il regista a far scendere a patti la propria immaginazione con le aspettative dello spettatore, e potere che costringe quest’ultimo con il fascino della prevedibilità.
Sangue del mio sangue, pertanto, è un film che, con il suo procedere incoerente, mantiene paradossalmente una sua coerenza dall’inizio alla fine: araldo di libertà, sullo spettatore non esercita alcun potere.
Franco Erica è un padre turbato dal matrimonio della figlia con un fervente cattolico ed è un regista in crisi che sta preparando su commissione l’ennesima riduzione dei Promessi Sposi. Uno scandalo scoppiato all’interno della produzione “manzoniana” lo costringe a una fuga a sud, dove incontrerà Enzo, umile regista di matrimoni, e Ferdinando Gravina, illustre principe decaduto di Palagonia. Il nobile siciliano propone a Franco Elica di partecipare alle nozze della figlia Bona e di “cinematografare” l’evento. Elica, invece, se ne innamora, e sostituendosi alla provvidenza, filmerà per lei un diverso finale, di connubio? Di nubilato? Di fuga?
Tre sono gli epiloghi possibili di un film-omnia che procede per scene sospese e sequenze non finite. Tre pure sono i registi dei matrimoni che “non s’hanno da fare”: a Franco Elica, alter ego del regista piacentino, in cerca della sua identità sostanziale e profonda, si contrappone nel film l’ossessivo Smamma, che ne cerca al contrario una apparente e ridondante. Smamma, uno strepitoso e ‘casteliano’ Gianni Cavina, è il “fu Pascal” pirandelliano che si finge morto per vincere un “Davide di Michelangelo” e per essere riconosciuto come uomo e come autore. Il personaggio di Cavina eredita i pugni in tasca di Lou Castel, di cui continua a sperimentare la rabbia aggiornando la sua furia personale. A rielaborare fino a trasformare quella collera è invece il regista dal nome futurista (Elica) interpretato da Sergio Castellitto, personaggio che prosegue idealmente la formazione spirituale e laica di Ernesto Picciafuoco ne L’ora di religione. Il regista di Castellitto mette in atto una fuga attiva in una Sicilia barocca ma diffusa di piacentinità, dove incontra personaggi veri, che rivendicano il primato dell’esistenza contro la recita della vita. Bellocchio ribadisce la conversione laica del suo cinema e il diritto ad esprimere il proprio ateismo, che non è mai una lotta contro la religione perché più di ogni altro questo autore e questo film restituiscono lo sguardo metafisico di Dio: le integrazioni delle immagini in 35mm con quelle meno definite del digitale irrompono ad osservare o a assistere il protagonista. Bellocchio nella sua opera più lirica privilegia la “sovversività” dell’arte, la settima, ancora capace di riferire la bellezza. Per questa ragione al centro del suo cinema c’è ancora una volta un soggetto femminile, una principessa quasi sposa di cui filma la progressione umana, l’enfasi emotiva e la scelta finale di un sentimento (libero per Elica, costretto per lo sposo) che esiste a prescindere da tutto, dalla famiglia, dalla società, dalla religione, e si trasforma in qualcosa di reale come una corsa in treno verso un amore probabilmente edonistico (non riproduttivo), ma maledettamente seducente per l’immaginario collettivo.
Secondo il critico Adelio Ferrero, che scrisse un’ottima monografia sul cinema di Pasolini pubblicata anni fa nei tascabili della Marsilio, il cortometraggio “La ricotta” sarebbe il vertice del cinema del controverso autore friulano. Secondo Ferrero “E’ con La ricotta che il cinema di Pasolini raggiunge il suo esito forse più alto. E questo avviene, non a caso, attraverso i modi della ricapitolazione poetica del proprio mondo e dell’apologo metalinguistico. (…) La violenta irruzione del colore nella tonalità “neorealistica” del bianco e nero introduce subito il tema dominante: la commistione scandalosa e angosciante di sacro e profano, o meglio, di sacro artificiale e di profano-tragico, primo e vivido scarto fra i due piani, opposti e ricorrenti, della realtà e dell’immagine, della Vita e della formalizzazione della vita, della tragedia e dell’idillio, della sofferenza e dello spettacolo: opposizione che ispira e modella tutto il racconto, fin nelle pieghe e inarcature più segrete”.
Francamente non so se possa essere definito l’esito più alto di Pasolini, magari “Accattone” ha una maggiore compattezza, comunque “La ricotta” risulta un piccolo capolavoro, assolutamente da non trascurare come altri cortometraggi dell’autore fra cui il poetico “Che cosa sono le nuvole”. Di certo questo breve film di circa mezz’ora risulta una sorta di appendice ai primi due film di ambientazione romana e ai romanzi sul sottoproletariato delle borgate: le tematiche sono le stesse, emerge una mitizzazione quasi “religiosa” delle figure dei diseredati come il protagonista Stracci, che per saziare la sua fame atavica arriverà a fare un’indigestione di ricotta che lo porterà a morire sulla croce come Gesù Cristo. A livello formale è molto interessante l’alternanza fra il bianco-nero neorealistico di cui parlava Ferrero e un colore dalle tinte sature per le scene in cui si rievocano alcuni dipinti dei pittori Rosso Fiorentino e Pontormo con appositi tableaux-vivants; i personaggi restano volutamente poco approfonditi, ma a spiccare, più che il protagonista Stracci, è soprattutto la figura del regista, interpretato dall’imponente Orson Welles, che rimanda inevitabilmente allo stesso Pasolini con battute velenose sulla borghesia italiana e lo sfacelo culturale che già allora iniziava ad affacciarsi. Vi sono citazioni delle comiche chapliniane nell’uso del fast-forward su Stracci che corre a rimpinzarsi di cibo, oppure un inevitabile richiamo al Bunuel di “Viridiana” nella scena dell’orgia dei mendicanti, che qui è ripresa in un ballo dissacratorio di alcune comparse. Laura Betti, abituale musa del regista, qui fa una piccola apparizione. Resta un’opera essenziale per penetrare all’interno della visione della vita e del mondo di Pasolini, una satira che volge rapidamente in tragedia e che, nella sua brevità, mantiene una completezza di ispirazione che può portare a preferirla rispetto ad alcuni film successivi più “esteriori” e manieristici.
nel seguente link..troverete alcune parti della ricotta..ma anche i video completi per vedere il vangelo di Matteo
ed il Decameron..e le 120 giornate di Salò ed altri importanti video
(è una playlist di 200 video)
Samsara
Le vite degli altri– (consigliato dal giudice Clementina Forleo) link
Water- un film di Deepa Mehta
India, 1938: Chuyia è una bambina di otto anni, con lo sguardo, la spontaneità, la voglia di giocare di qualsiasi coetanea. Solo che lei è diversa, è una baby-sposa. A cui, per colmo di sfortuna, muore il marito: così, come prescrivono i rigidissimi rituali religiosi indù, la piccola è costretta a lasciare la famiglia, l’adorata mamma, per essere segregata in una “Casa delle vedove”. Una sorta di lager dove – tra amicizie, umanità dolente, prostituzione occulta, divieti di ogni genere – finirà, dopo l’ennesimo trauma, per perdere definitivamente l’innocenza. Tutta la luce che aveva negli occhi.
Succedeva nell’India di quasi settant’anni fa, succede anche nell’India di oggi: secondo un censimento del 2001, nell’immenso subcontinente ci sono 34 milioni di vedove, e almeno 12 milioni vivono nelle “Case”. A fornire questi dati è la regista indiana (trapiantata in Canada) Deepa Mehta: è lei ad aver scritto e diretto Water, l’intenso, toccante film (nelle sale da venerdì 6 ottobre) che racconta – appunto – la storia di Chuyia. Personaggio di finzione, certo, nato dalla fantasia dell’autrice; ma che simbolizza il destino infame di tantissime donne, emarginate e perseguitate. E non solo in quel paese: secondo Amnesty International, ogni anno nel mondo ci sono 80 milioni di matrimoni con spose bambine.
Ma Water non è solo la denuncia di un fenomeno inquietante, e che esiste tuttora. E’ anche un film molto rifinito, con una bella fotografia, musiche suggestive e un gruppo di interpreti notevoli. Acclamato al festival di Toronto, candidato del Canada agli Oscar, e amato da molti personaggi celebri. Tra cui un uomo che di India e di fondamentalismi religiosi se ne intende, Salman Rushdie: “E’ un’opera magnifica – ha detto – che affronta un argomento serio e difficile ma dall’interno, attraverso gli occhi delle protagoniste. Toccando irrimediabilmente il nostro cuore”.
Eppure, malgrado le qualità cinematografiche, è inevitabile che la presentazione italiana di Water diventi soprattutto un’occasione per denunciare quanto c’è ancora da fare, in tema di diritti civili. Specie al femminile. La prima a sottolinearlo è il ministro del Commercio estero, Emma Bonino, testimonial della pellicola (così come Amnesty International, che la patrocina): “La cosa che più mi ha colpito del film – racconta la storica leader radicale – è che tratta un tema molto attuale: il rapporto tra religione e società. O meglio, tra interpretazioni particolarmente reazionarie della religione e società. E questo non vale solo per l’induismo, ma anche per la nostra religione e per l’Islam”. Da qui l’impegno del ministro: “Nel 2007, l’India sarà il punto focale della mia attività. E non si tratta di occasioni solo commerciali: cercherò di avere con gli amici indiani un dialogo francoanche su altri temi”.
La Bonino, dunque, sottolinea un punto importante: a rendere “esplosivo” Water non è solo il riferimento alla crudeltà di certe tradizioni, ma anche il mostrare senza reticenze l’orrore a cui può condurre il fanatismo religioso. Un’interpretazione avallata dalla regista, Deepa Mehta: “Il cuore del film – spiega – è il conflitto tra coscienza e fede: se non si ascolta la propria coscienza, ma di obbedisce pedissequamente alla fede, si rischiano cose disumane”.
A dimostrarlo, c’è anche la travagliata lavorazione del film. Come spiega il produttore, David Hamilton: “Abbiamo tentato di girare Water nel 2000, in India. Il set era già pronto, ma poi, a pochi giorni dalle riprese, il movimento dei fondamentalisti ha bruciato il set. Allora abbiamo cominciato a girare nell’hotel dove alloggiavamo, ma fuori la gente urlava e bruciava foto di Deepa. Per due anni lei ha dovuto avere la scorta”. Conseguenza: il film è stato girato solo quattro anni dopo, ma nello Sri Lanka. E quasi clandestinamente.
Del resto, Mehta non è nuova alle minacce dei fanatici: già un suo film precedente, Fire, fu oggetto di proteste furiose e ritirato dalle sale, perché parlava di donne lesbiche. E adesso, in novembre, toccherà a Water uscire nei cinema indiani. Una pellicola che, almeno vista con occhi occidentali, presenta tutti i personaggi con molto rispetto: la piccola Chuyia, certo (interpretata dalla debuttante dello Sri Lanka Sarala); ma anche la bella Kalyani (Lisa Ray), vedova-prostituta che si innamora del laureato in legge Narayan (John Abraham), seguace di Gandhi; e la religiosissima sadananda (Kulbhushan Kharbanda), che vive sulla sua pelle il conflitto tra fede e coscienza.
Ma è proprio Gandhi – di cui in questi giorni si celebra il centenario della nascita – a chiudere il film, in una scena intensa e un po’ a sorpresa: “Lui è il simbolo della nostra liberazione – conclude Mehta – per questo ho deciso di farlo apparire in un film come il mio. Che non vuole mostrare solo le discriminazioni delle vedove, ma denunciare qualsiasi oppressione contro gli esseri umani: in nome della tradizione, della religione, del colore della pelle”.
(3 ottobre 2006)
Cento chiodi- Ermanno Olmi
Un giovane professore di filosofia della religione che insegna all’università di Bologna, con un clamoroso gesto simbolico di ribellione – “crocifigge” letteralmente cento preziosi incunaboli della biblioteca universitaria – abbandona la propria vita di intellettuale affermato, scompare senza lasciare alcuna traccia e, mentre le forze dell’ordine lo cercano per quel vandalismo sacrilego, sceglie di stabilirsi in un cascinale in rovina lungo le rive del fiume Po, dove «impara a vivere con lentezza, a entrare in sintonia con la natura»[2] e viene accolto con semplicità dagli abitanti del luogo, che lo chiamano, scherzosamente ma non troppo, Gesù, per il suo aspetto e la sua scelta di vita.
Entrato a far parte della comunità, partecipa alle feste di paese, viene aiutato a ricostruire il rudere che ha scelto come casa, il suo silenzioso carisma conquista tutti, ma fa amicizia in modo particolare con un giovane postino ed una ragazza che lavora in panetteria e che si innamora di lui.
Viene infine trovato dai Carabinieri quando cerca di utilizzare la propria carta di credito per aiutare i suoi nuovi amici, pesantemente multati per le costruzioni abusive a ridosso degli argini, nelle quali trascorrono le loro giornate. Ammette la responsabilità del proprio gesto ed ottiene gli arresti domiciliari, ma non ritorna più nella sua casa sul fiume, dove è atteso invano.
I giudizi sul film sono stati influenzati da due fattori esterni rispetto alle considerazioni puramente estetiche: da un lato, il sempre acceso dibattito politico e culturale su religione e laicismo nella società contemporanea, dall’altro il fatto che Olmi si sia detto intenzionato ad abbandonare con quest’opera il cinema di finzione per ritornare ai documentari, con cui aveva iniziato la propria carriera,[5] hanno dato al film la connotazione di “film-testamento”, a cui tributare quindi una particolare attenzione, estesa ad una considerazione generale sull’intera opera dell’autore.
Sono stati espressi giudizi opposti, anche sugli stessi giornali, riguardo l’aderenza o meno al Cristianesimo dello spirito del film:
«un’opera profondamente cristiana e ferocemente anti-clericale» (Alberto Crespi, L’Unità, 24 marzo 2007)
«Il film di Olmi è altamente cristiano, del Cristianesimo umile e spirituale, quello che sa che Dio lo si adora in spirito e verità. Olmi dice che la verità non è quella dei libri, ma quella che coincide con l’autenticità della vita, con l’esperienza di unità e fratellanza tra gli uomini, con l’onestà intellettuale verso se stessi che fa rifiutare antiche dottrine dogmatiche e morali che hanno perso ogni contatto vitale con l’evoluzione del mondo. Il primo a inchiodare i libri sacri è stato Gesù quando diceva: “Vi è stato detto, ma io vi dico”» (Vito Mancuso, Panorama, 12 aprile 2007)
«(…) un’opera contraria al Cristianesimo e alla sua tradizione culturale» (Francesco Alberoni, Panorama, 10 maggio 2007)
Il diavolo in corpo di Marco Bellocchio
Vincere
di Marco Bellocchio, questa è teologia laica.
“Vincere” il film in streaming , una storia d’amore poco nota “Vincere” é stato l’unico film in concorso nel 2009 al Festival del Cinema di Venezia. Diretto da Marco Bellocchio e interpretato da una sempre convincente Giovanna Mezzogiorno e da Filippo Timi – i protagonisti -, la trama del film narra l’amore di Ida Irene Dalser per Benito Mussolini e ruota inevitabilmente attorno alle vicende che coinvolgono Benito Albino Dalser, il figlio nato dalla loro unione. La donna, che ama Benito incondizionatamente, asseconda in tutto e per tutto l’uomo che dal canto suo non ripaga Ida dello stesso sentimento. Nella pellicola emerge come l’ascesa politica di Mussolini avvenne anche grazie alla presenza e ai sacrifici della Dalser che però non occupò mai un posto speciale nel suo cuore e fu ben presto ripudiata e dimenticata.
Elena Undone
Dramma e sesso passionale e romantico si combinano nell’incanto del primo amore che deve fronteggiare diversi problemi nella vita reale per trasformarsi nell’impegno di una vita. Prima di incontrare Peyton, Elena, moglie e madre eterosessuale, non avrebbe mai potuto pensare che si sarebbe innamorata di una donna. L’amicizia fra Peyton, una scrittrice lesbica dichiarata, ed Elena, la moglie di un pastore omofobo che non ha mai conosciuto il vero amore, si trasforma rapidamente da un’attrazione unilaterale in una torrida relazione extraconiugale. Nonostante il forte sentimento, Peyton, preoccupata su molti fronti, ha delle perplessità ad iniziare una storia con una donna etero sposata. Elena, da parte sua, riconosce di essersi messa in una trappola con un amore senza possibilità di matrimonio, e fatica a razionalizzare la natura e l’importanza dei suoi nuovi desideri. Mentre il loro rapporto s’intensifica, Elena si trova davanti alla scelta di abbandonare Barry, suo marito, o di mettere fine alla sua storia con Peyton per salvare un matrimonio già traballante e per nulla gratificante e tornare ad una vita grigia e meccanica. Ma sopra ogni cosa, Elena deve riuscire a convincere Peyton che loro due possono avere davanti un futuro splendido nonostante la difficile partenza. Il film affronta le tematiche della religione, del sesso, della famiglia e della forza dirompente che può avere un amore vero.
(Se non riesci a vedere i film correttamente è perché devi cambiare i file DNS.
Nulla di complicato, se non sei pratico chiedi aiuto ai moderatori, puoi trovarli, in genere, dopo cena.
Rebecca è una donna elegante, facoltosa, e rispettabile. Una moglie leale con tre figli già cresciuti, una vistosa residenza e un bellissimo marito. Ma non ha mai avuto un orgasmo. Determinata a risolvere questo problema, un’amica lesbica le organizza un’incontro con una strepitosa squillo d’alto bordo di nome Paris. Da quel giorno sia la vita di Rebecca che di Paris cambieranno per sempre. Rebecca si rifugia negli incontri paradisiaci con Paris mentre a casa vive una routine da soap opera per lei ormai senza nessun interesse. Paris, al di là del suo lucrativo lavoro come escort, non riesce più a nascondere le sue aspirazioni artistiche, e soprattutto i suoi problemi interiori. La vicenda, iniziata come una commedia degli errori, finisce in un inatteso e sconvolgente viaggio erotico. Ma quale sarà il finale perfetto evocato dal titolo?… Una storia sexy, delicata e passionale, che incanterà il pubblico femminile, magnificamente interpretata da Barbara Niven, icona della TV americana degli anni ’90, e dall’attrice Jessica Clark, icona delle lesbiche contemporanee anche perchè omosessuale dichiarata. La regista Nicole Conn, che ci aveva già affascinati con “Elena Undone”, riesce a rinfrescare una tematica sempre attuale
Trailer
qui..il film; ma dovete scorrere la pagina fino in fondo
(prima risolvere il problema del DSN come accennato di sopra)
Primo film a forte tematica gay prodotto in Venezuela, un Paese dove ancora non si discute dei diritti gay e la società è pervasa da una diffusa e atavica omofobia. Spesso si vedono sui muri graffiti con scritto “morte ai froci” e bande di teppisti attaccano e picchiano chiunque venga sospettato di essere gay. Nel film sentiamo dire “preferisco avere un figlio delinquente piuttosto che gay”.
Inatteso quindi il successo di questo film, opera prima del regista attore Miguel Ferrari, che è rimasto in cartellone per otto mesi ed è stato visto da più di 600 mila spettatori. Recentemente ha vinto il premio Goya 2014 (il più importante riconoscimento cinematografico spagnolo) come miglior film latino-americano. Il regista, assai famoso come attore, ha dichiarato: “Ho voluto portare sullo schermo questa storia da me scritta perchè sento la necessità di dare voce e far parlare persone che non parlano mai, che devono vivere in un mondo buio perchè nessuno vuole affrontare questi argomenti”.
Il film affronta diverse tematiche, come l’omofobia, la discriminazione, il rapporto genitori figli, la paternità gay, la transessualità, il maltrattamento delle donne, ecc. Tutto questo attraverso una storia ben strutturata, realistica e toccante, movimentata da diversi personaggi tutti strettamente collegati. Diego è un fotografo gay che ha grande successo nel mondo della moda. Durante la sua adolescenza ha avuto una breve relazione etero che generò un figlio che la madre portò con sè trasferendosi in Spagna. In seguito Diego ha vissuto una vita gay semiclandestina fino a quando si è deciso a convivere con il suo compagno Fabrizio come una normale famiglia. Un giorno Fabrizio è vittima di un tragico incidente che lo lascia in coma. Contemporaneamente la madre di suo figlio gli telefona dalla Spagna dicendogli che deve prendersi cura del figlio Armando. Le incomprensioni tra padre e figlio non saranno poche, sentendosi entrambi come appartenenti a mondi diversi e lontani. Armando fatica ad accettare lo sconosciuto mondo gay del padre e Diego non sa cosa voglia dire essere il padre di un adolescente etero. Per entrambi non sarà facile costruire un rapporto d’amore e stima, anche perchè il mondo circostante, famiglia e società, sono contro di loro.
Diego is a guy like any other one. He has a regular family and his friends don’t have anything special. But there is something that makes him different. He has a heterosexual son. One father, one son. Both of them will need to fix their differences. Everything depends on how you look at it.
Diego et Fabrizio filent le parfait amour et vont bientôt vivre ensemble. Alors qu’il ne l’a pas vu depuis cinq ans, le fils adolescent de Diego débarque chez lui et apprend que son père est gay. Peu après, Fabrizio est roué de coups par trois homophobes et sombre dans le coma. Diego et son fils feront-ils la paix? Fabrizio sortira-t-il du coma? Et Delirio de Rio, une flamboyante transsexuelle, amie du couple, retrouvera-t-elle son amour de jeunesse? Dans un pays où l’homophobie reste présente, active et violente, Azul y no tan rosa a connu un vrai succès populaire au Venezuela. Il faut saluer le fait qu’un film mettant en vedette un couple gay « ordinaire » (ni macho, ni folle), un père gay et une transsexuelle soit resté à l’affiche pendant huit mois.
A questo link c’è il film intero..ma attenzione..dovete scorrere a fine pagina.
donne ultraviolette
Siamo donne ultraviolette: frequenze al di là del visibile e della televisione. Ultraviolette del pensiero, vorremmo ri/fondare i rapporti fra i SESSI, e verso il MONDO, sulla base del RISPETTO.
METEMPSICOSI RELOATED
Qui non troverete ‘verità’ solo ‘informazioni’ tradotte, quelle le cui conclusioni sarete VOI a dover confrontare ed approfondire…
superficaoca channel
Ho un Q.I. così ALTO (anche senza tacchi) che mi vergogno. Motti del Superficaoca Channel:1. PRESTO!! che è TARDI !!!!
Amnesty International
Amnesty International è un’Organizzazione non governativa indipendente, una comunità globale di difensori dei diritti umani che si riconosce nei principi della solidarietà internazionale. L’associazione è stata fondata nel 1961 dall’avvocato inglese P
La Rete delle Donne
Per i nostri diritti, e per il bene di tutti, è il momento di unirci, cercando l’amicizia e il sostegno degli uomini che non sentono il bisogno di schiacciare le donne, per tentare un cambio di paradigma.
Anagen.net
un portale di integratori ,ricco di spiegazioni scientifiche
Fondazione Valsè Pantellini
Gli studi sull’efficacia dell’ascorbato di potassio nella cura del cancro (vai al post sull’argomento)
Ivan Ingrilli (grillo parlante)
Questo blog cerca di informare sui pericoli che ci vengono nascosti ai danni della nostra salute, sulle leggi che influenzano la nostra liberta’ di scelta e su quelle corporazioni che lucrano promuovendo i loro prodotti, danneggiando la scienza e le soluz