Noi siamo PUTTANE: immagini sacre di un linguaggio dimenticato
di Francesca Amezzani
Il termine puttana, che nell’italiano popolare acquisisce un grave tono offensivo, deriva dal latino puteus, con cui s’intendevano originariamente una cavità naturale o un buco scavato dall’Uomo (lo erano i puticuli: pozzi, intesi come grembi ipogei di rinascita, in cui i Romani seppellivano i morti).
In avestico, mediante la parola putika ci si riferiva invece ad un lago mistico di acqua rigenerante.
Non a caso la radice sanscrita puta (entrata anche nelle lingue romanze con tutt’altro senso: spagnolo puta, francese pute – puttana) allude a ciò che è puro o santo e anche in ebraico la parola Kaddosh vuol dire sacro mentre Kaddeshà prostituta.
Tali definizioni erano coerenti con l’atto sessuale stesso, che un tempo veniva considerato rito mistico sacramentale (ierogamia) attraverso cui i partner potevano trascendere i propri sensi per entrare in una dimensione spirituale. Da qui, la sacerdotessa veniva chiamata “Grande Prostituta” e conduceva l’uomo all’horasis, l’illuminazione spirituale oSophia (forma suprema di rinnovamento interiore raggiunta attraverso la sublime esperienza erotica del Femminile).
Il corpo della sacerdotessa diventava, in modo impensabile per il mondo contemporaneo, una via per entrare in rapporto con gli dei. Per i pagani, infatti, le donne erano naturalmente in contatto con il divino, mentre l’uomo, da solo, non poteva raggiungere questo obiettivo.
In tutti questi casi, come è facile notare, il sostantivo puttana implica:
- originariamente, un concetto di sacralità che sfiora l’idea di un sentimento religioso;
- attualmente, un mero insulto o se vogliamo essere più precise e cercare sul dizionario la definizione ufficiale, una donna infedele e dai facili costumi.
Insomma, alla faccia del progresso e di chi definisce “barbare” o “incivili” le popolazioni preistoriche di *mila anni fa! Per le quali porre in relazione la sessualità all’idea di sacro non creava nessun paradosso o tabù, al contrario di quello che accade oggi.
Ma lo stesso discorso vale anche per un’altra parola ben più importante.
Se apriamo il dizionario della lingua italiana e cerchiamo l’etimologia di vagina, leggiamo che deriva dal latino e significa fodero/guaina (oggetto nel quale riporre la spada), dove la radice vac-uus sta appunto per vuoto
Al contrario, in sanscrito è Yoni a definire sia la vulva (l’aspetto visibile) che la vagina (l’aspetto intimo e nascosto), attraverso un suono musicale ed armonico che restituisce dignità e sacralità al nostro organo più importante.
Anche questa volta quindi, il termine è stato privato del suo significato originario e di tutta quella connotazione simbolica, energetica ed emozionale che gli si collegava, per trasformarlo in puro accessorio maschile, dove riporre la spada-fallo
Non siamo stanche di essere ridotte a banali “divertimenti” o “contenitori” del maschile?
Non è ora di ribellarci anche sul piano linguistico? Dando peso ai termini che usiamo e sentiamo, ricercandone il loro vero significato per liberarci da questo gioco maschilista e patriarcale?
Gli uomini anno scritto la storia e cambiato la parole a loro uso e consumo ma è ora di mettere i puntini sulle i per far vedere le cose come realmente stanno.
In realtà, ri-appropriarci dei nostri simboli e ri-partire alla ri-scoperta del femminile non è così difficile: tutto intorno a noi ci parla la “nostra lingua” se osserviamo ed ascoltiamo attentamente.
Ci parlano i fiori, con le loro forme sinuose e concave
le conchiglie del mare
Ce lo dicono i semi da cui, nonostante la loro durezza, nascono piante ed alberi meravigliosi
La vulva si può davvero vedere in qualsiasi manifestazione naturale e, al contrario di quello che diranno in molti, non è un discorso feticista o da “fissati” questo, anzi è proprio il maschilismo imperante che ha reso tutto quello che riguarda noi o la sessualità in generale, una cosa strana, lontana, sporca e malata… insomma un tabù!
In passato scoprire oggetti dalle sembianze di vulva, era considerato un segno di benedizione e anche oggi, se ci pensiamo bene, trovare un sasso forato o una conchiglia bucata sulla spiaggia viene considerata una fortuna e spesso si appendono al collo come amuleti!
Inoltre, proprio la qualità artistica ed estetica della vulva ha spinto molte donne a ri-appropriarsi di questo simbolo, lavorando alla creazione di gioielli, orecchini o bracciali che ricordano la sua forma, come Jessica Marie (shop on-line: http://www.vulvalovelovely.com) che la riproduce su Matrioske, orologi da taschino e gioielli di ogni sorta, facendola diventare un simbolo da esporre e mai più da nascondere, ambasciatrice di vita e ri-nascita (al contrario della croce che ci ricorda solo morte e peccato).
La venerazione della Yoni è quindi antica quanto l’umanità ed è presente ancora oggi in moltissime religioni politeiste o “pagane” (come le definisce la Chiesa Cattolica), dove è venerata come un vero e proprio oggetto di culto, dotato di potenza trasformativa, oracolare, trascendentale, fecondativa, di accoglienza e piacere.
Riassumento, perchè scegliere di chiamarla Yoni e non vagina?
Perché la Yoni è legata alla Dea che è dentro ognuna di noi, alla sua Porta Sacra da dove la Vita e la Morte si intrecciano, da dove sgorgano fluidi carichi di energia e dove si trova l’accesso al piacere e all’estasi.
Perché la Yoni è il principio femminile che si unisce in armonia con quello maschile, l’atto sessuale attraverso cui ricevere la gnosi, ovvero l’esperienza del divino.
“E tu…vuoi essere un fodero per spade o una Porta Sacra?”
Fonti:
- http://www.ilcerchiodellaluna.it/central_Simboli_yoni.htm
- “La dea. Creazione. Fertilità e abbondanza. La sovranità della donna. Miti e archetipi” di Husain Shahrukh
- http://blog.libero.it/Rosmarco/view.php?reset=1&id=Rosmarco
- “Il risveglio della Dea” di Vicky Noble