a questo link ci sono i miei video preferiti su Youtube ..ce ne sono di molto belli..dategli un’occhiata.
i miei video preferiti su Youtube
La ricotta -Pier paolo Pasolini
Secondo il critico Adelio Ferrero, che scrisse un’ottima monografia sul cinema di Pasolini pubblicata anni fa nei tascabili della Marsilio, il cortometraggio “La ricotta” sarebbe il vertice del cinema del controverso autore friulano. Secondo Ferrero “E’ con La ricotta che il cinema di Pasolini raggiunge il suo esito forse più alto. E questo avviene, non a caso, attraverso i modi della ricapitolazione poetica del proprio mondo e dell’apologo metalinguistico. (…) La violenta irruzione del colore nella tonalità “neorealistica” del bianco e nero introduce subito il tema dominante: la commistione scandalosa e angosciante di sacro e profano, o meglio, di sacro artificiale e di profano-tragico, primo e vivido scarto fra i due piani, opposti e ricorrenti, della realtà e dell’immagine, della Vita e della formalizzazione della vita, della tragedia e dell’idillio, della sofferenza e dello spettacolo: opposizione che ispira e modella tutto il racconto, fin nelle pieghe e inarcature più segrete”.
Francamente non so se possa essere definito l’esito più alto di Pasolini, magari “Accattone” ha una maggiore compattezza, comunque “La ricotta” risulta un piccolo capolavoro, assolutamente da non trascurare come altri cortometraggi dell’autore fra cui il poetico “Che cosa sono le nuvole”. Di certo questo breve film di circa mezz’ora risulta una sorta di appendice ai primi due film di ambientazione romana e ai romanzi sul sottoproletariato delle borgate: le tematiche sono le stesse, emerge una mitizzazione quasi “religiosa” delle figure dei diseredati come il protagonista Stracci, che per saziare la sua fame atavica arriverà a fare un’indigestione di ricotta che lo porterà a morire sulla croce come Gesù Cristo. A livello formale è molto interessante l’alternanza fra il bianco-nero neorealistico di cui parlava Ferrero e un colore dalle tinte sature per le scene in cui si rievocano alcuni dipinti dei pittori Rosso Fiorentino e Pontormo con appositi tableaux-vivants; i personaggi restano volutamente poco approfonditi, ma a spiccare, più che il protagonista Stracci, è soprattutto la figura del regista, interpretato dall’imponente Orson Welles, che rimanda inevitabilmente allo stesso Pasolini con battute velenose sulla borghesia italiana e lo sfacelo culturale che già allora iniziava ad affacciarsi. Vi sono citazioni delle comiche chapliniane nell’uso del fast-forward su Stracci che corre a rimpinzarsi di cibo, oppure un inevitabile richiamo al Bunuel di “Viridiana” nella scena dell’orgia dei mendicanti, che qui è ripresa in un ballo dissacratorio di alcune comparse. Laura Betti, abituale musa del regista, qui fa una piccola apparizione. Resta un’opera essenziale per penetrare all’interno della visione della vita e del mondo di Pasolini, una satira che volge rapidamente in tragedia e che, nella sua brevità, mantiene una completezza di ispirazione che può portare a preferirla rispetto ad alcuni film successivi più “esteriori” e manieristici.
nel seguente link..troverete alcune parti della ricotta..ma anche i video completi per vedere il vangelo di Matteo
ed il Decameron..e le 120 giornate di Salò ed altri importanti video
(è una playlist di 200 video)
Samsara
Le vite degli altri– (consigliato dal giudice Clementina Forleo) link
Water- un film di Deepa Mehta
India, 1938: Chuyia è una bambina di otto anni, con lo sguardo, la spontaneità, la voglia di giocare di qualsiasi coetanea. Solo che lei è diversa, è una baby-sposa. A cui, per colmo di sfortuna, muore il marito: così, come prescrivono i rigidissimi rituali religiosi indù, la piccola è costretta a lasciare la famiglia, l’adorata mamma, per essere segregata in una “Casa delle vedove”. Una sorta di lager dove – tra amicizie, umanità dolente, prostituzione occulta, divieti di ogni genere – finirà, dopo l’ennesimo trauma, per perdere definitivamente l’innocenza. Tutta la luce che aveva negli occhi.
Succedeva nell’India di quasi settant’anni fa, succede anche nell’India di oggi: secondo un censimento del 2001, nell’immenso subcontinente ci sono 34 milioni di vedove, e almeno 12 milioni vivono nelle “Case”. A fornire questi dati è la regista indiana (trapiantata in Canada) Deepa Mehta: è lei ad aver scritto e diretto Water, l’intenso, toccante film (nelle sale da venerdì 6 ottobre) che racconta – appunto – la storia di Chuyia. Personaggio di finzione, certo, nato dalla fantasia dell’autrice; ma che simbolizza il destino infame di tantissime donne, emarginate e perseguitate. E non solo in quel paese: secondo Amnesty International, ogni anno nel mondo ci sono 80 milioni di matrimoni con spose bambine.
Ma Water non è solo la denuncia di un fenomeno inquietante, e che esiste tuttora. E’ anche un film molto rifinito, con una bella fotografia, musiche suggestive e un gruppo di interpreti notevoli. Acclamato al festival di Toronto, candidato del Canada agli Oscar, e amato da molti personaggi celebri. Tra cui un uomo che di India e di fondamentalismi religiosi se ne intende, Salman Rushdie: “E’ un’opera magnifica – ha detto – che affronta un argomento serio e difficile ma dall’interno, attraverso gli occhi delle protagoniste. Toccando irrimediabilmente il nostro cuore”.
Eppure, malgrado le qualità cinematografiche, è inevitabile che la presentazione italiana di Water diventi soprattutto un’occasione per denunciare quanto c’è ancora da fare, in tema di diritti civili. Specie al femminile. La prima a sottolinearlo è il ministro del Commercio estero, Emma Bonino, testimonial della pellicola (così come Amnesty International, che la patrocina): “La cosa che più mi ha colpito del film – racconta la storica leader radicale – è che tratta un tema molto attuale: il rapporto tra religione e società. O meglio, tra interpretazioni particolarmente reazionarie della religione e società. E questo non vale solo per l’induismo, ma anche per la nostra religione e per l’Islam”. Da qui l’impegno del ministro: “Nel 2007, l’India sarà il punto focale della mia attività. E non si tratta di occasioni solo commerciali: cercherò di avere con gli amici indiani un dialogo francoanche su altri temi”.
La Bonino, dunque, sottolinea un punto importante: a rendere “esplosivo” Water non è solo il riferimento alla crudeltà di certe tradizioni, ma anche il mostrare senza reticenze l’orrore a cui può condurre il fanatismo religioso. Un’interpretazione avallata dalla regista, Deepa Mehta: “Il cuore del film – spiega – è il conflitto tra coscienza e fede: se non si ascolta la propria coscienza, ma di obbedisce pedissequamente alla fede, si rischiano cose disumane”.
A dimostrarlo, c’è anche la travagliata lavorazione del film. Come spiega il produttore, David Hamilton: “Abbiamo tentato di girare Water nel 2000, in India. Il set era già pronto, ma poi, a pochi giorni dalle riprese, il movimento dei fondamentalisti ha bruciato il set. Allora abbiamo cominciato a girare nell’hotel dove alloggiavamo, ma fuori la gente urlava e bruciava foto di Deepa. Per due anni lei ha dovuto avere la scorta”. Conseguenza: il film è stato girato solo quattro anni dopo, ma nello Sri Lanka. E quasi clandestinamente.
Del resto, Mehta non è nuova alle minacce dei fanatici: già un suo film precedente, Fire, fu oggetto di proteste furiose e ritirato dalle sale, perché parlava di donne lesbiche. E adesso, in novembre, toccherà a Water uscire nei cinema indiani. Una pellicola che, almeno vista con occhi occidentali, presenta tutti i personaggi con molto rispetto: la piccola Chuyia, certo (interpretata dalla debuttante dello Sri Lanka Sarala); ma anche la bella Kalyani (Lisa Ray), vedova-prostituta che si innamora del laureato in legge Narayan (John Abraham), seguace di Gandhi; e la religiosissima sadananda (Kulbhushan Kharbanda), che vive sulla sua pelle il conflitto tra fede e coscienza.
Ma è proprio Gandhi – di cui in questi giorni si celebra il centenario della nascita – a chiudere il film, in una scena intensa e un po’ a sorpresa: “Lui è il simbolo della nostra liberazione – conclude Mehta – per questo ho deciso di farlo apparire in un film come il mio. Che non vuole mostrare solo le discriminazioni delle vedove, ma denunciare qualsiasi oppressione contro gli esseri umani: in nome della tradizione, della religione, del colore della pelle”.
(3 ottobre 2006)
Cento chiodi- Ermanno Olmi
Un giovane professore di filosofia della religione che insegna all’università di Bologna, con un clamoroso gesto simbolico di ribellione – “crocifigge” letteralmente cento preziosi incunaboli della biblioteca universitaria – abbandona la propria vita di intellettuale affermato, scompare senza lasciare alcuna traccia e, mentre le forze dell’ordine lo cercano per quel vandalismo sacrilego, sceglie di stabilirsi in un cascinale in rovina lungo le rive del fiume Po, dove «impara a vivere con lentezza, a entrare in sintonia con la natura»[2] e viene accolto con semplicità dagli abitanti del luogo, che lo chiamano, scherzosamente ma non troppo, Gesù, per il suo aspetto e la sua scelta di vita.
Entrato a far parte della comunità, partecipa alle feste di paese, viene aiutato a ricostruire il rudere che ha scelto come casa, il suo silenzioso carisma conquista tutti, ma fa amicizia in modo particolare con un giovane postino ed una ragazza che lavora in panetteria e che si innamora di lui.
Viene infine trovato dai Carabinieri quando cerca di utilizzare la propria carta di credito per aiutare i suoi nuovi amici, pesantemente multati per le costruzioni abusive a ridosso degli argini, nelle quali trascorrono le loro giornate. Ammette la responsabilità del proprio gesto ed ottiene gli arresti domiciliari, ma non ritorna più nella sua casa sul fiume, dove è atteso invano.
I giudizi sul film sono stati influenzati da due fattori esterni rispetto alle considerazioni puramente estetiche: da un lato, il sempre acceso dibattito politico e culturale su religione e laicismo nella società contemporanea, dall’altro il fatto che Olmi si sia detto intenzionato ad abbandonare con quest’opera il cinema di finzione per ritornare ai documentari, con cui aveva iniziato la propria carriera,[5] hanno dato al film la connotazione di “film-testamento”, a cui tributare quindi una particolare attenzione, estesa ad una considerazione generale sull’intera opera dell’autore.
Sono stati espressi giudizi opposti, anche sugli stessi giornali, riguardo l’aderenza o meno al Cristianesimo dello spirito del film:
«un’opera profondamente cristiana e ferocemente anti-clericale» (Alberto Crespi, L’Unità, 24 marzo 2007)
«Il film di Olmi è altamente cristiano, del Cristianesimo umile e spirituale, quello che sa che Dio lo si adora in spirito e verità. Olmi dice che la verità non è quella dei libri, ma quella che coincide con l’autenticità della vita, con l’esperienza di unità e fratellanza tra gli uomini, con l’onestà intellettuale verso se stessi che fa rifiutare antiche dottrine dogmatiche e morali che hanno perso ogni contatto vitale con l’evoluzione del mondo. Il primo a inchiodare i libri sacri è stato Gesù quando diceva: “Vi è stato detto, ma io vi dico”» (Vito Mancuso, Panorama, 12 aprile 2007)
«(…) un’opera contraria al Cristianesimo e alla sua tradizione culturale» (Francesco Alberoni, Panorama, 10 maggio 2007)
Il diavolo in corpo di Marco Bellocchio
Vincere
di Marco Bellocchio, questa è teologia laica.
“Vincere” il film in streaming , una storia d’amore poco nota “Vincere” é stato l’unico film in concorso nel 2009 al Festival del Cinema di Venezia. Diretto da Marco Bellocchio e interpretato da una sempre convincente Giovanna Mezzogiorno e da Filippo Timi – i protagonisti -, la trama del film narra l’amore di Ida Irene Dalser per Benito Mussolini e ruota inevitabilmente attorno alle vicende che coinvolgono Benito Albino Dalser, il figlio nato dalla loro unione. La donna, che ama Benito incondizionatamente, asseconda in tutto e per tutto l’uomo che dal canto suo non ripaga Ida dello stesso sentimento. Nella pellicola emerge come l’ascesa politica di Mussolini avvenne anche grazie alla presenza e ai sacrifici della Dalser che però non occupò mai un posto speciale nel suo cuore e fu ben presto ripudiata e dimenticata.
Elena Undone
Dramma e sesso passionale e romantico si combinano nell’incanto del primo amore che deve fronteggiare diversi problemi nella vita reale per trasformarsi nell’impegno di una vita. Prima di incontrare Peyton, Elena, moglie e madre eterosessuale, non avrebbe mai potuto pensare che si sarebbe innamorata di una donna. L’amicizia fra Peyton, una scrittrice lesbica dichiarata, ed Elena, la moglie di un pastore omofobo che non ha mai conosciuto il vero amore, si trasforma rapidamente da un’attrazione unilaterale in una torrida relazione extraconiugale. Nonostante il forte sentimento, Peyton, preoccupata su molti fronti, ha delle perplessità ad iniziare una storia con una donna etero sposata. Elena, da parte sua, riconosce di essersi messa in una trappola con un amore senza possibilità di matrimonio, e fatica a razionalizzare la natura e l’importanza dei suoi nuovi desideri. Mentre il loro rapporto s’intensifica, Elena si trova davanti alla scelta di abbandonare Barry, suo marito, o di mettere fine alla sua storia con Peyton per salvare un matrimonio già traballante e per nulla gratificante e tornare ad una vita grigia e meccanica. Ma sopra ogni cosa, Elena deve riuscire a convincere Peyton che loro due possono avere davanti un futuro splendido nonostante la difficile partenza. Il film affronta le tematiche della religione, del sesso, della famiglia e della forza dirompente che può avere un amore vero.
(Se non riesci a vedere i film correttamente è perché devi cambiare i file DNS.
Primo film a forte tematica gay prodotto in Venezuela, un Paese dove ancora non si discute dei diritti gay e la società è pervasa da una diffusa e atavica omofobia. Spesso si vedono sui muri graffiti con scritto “morte ai froci” e bande di teppisti attaccano e picchiano chiunque venga sospettato di essere gay. Nel film sentiamo dire “preferisco avere un figlio delinquente piuttosto che gay”.
Inatteso quindi il successo di questo film, opera prima del regista attore Miguel Ferrari, che è rimasto in cartellone per otto mesi ed è stato visto da più di 600 mila spettatori. Recentemente ha vinto il premio Goya 2014 (il più importante riconoscimento cinematografico spagnolo) come miglior film latino-americano. Il regista, assai famoso come attore, ha dichiarato: “Ho voluto portare sullo schermo questa storia da me scritta perchè sento la necessità di dare voce e far parlare persone che non parlano mai, che devono vivere in un mondo buio perchè nessuno vuole affrontare questi argomenti”.
Il film affronta diverse tematiche, come l’omofobia, la discriminazione, il rapporto genitori figli, la paternità gay, la transessualità, il maltrattamento delle donne, ecc. Tutto questo attraverso una storia ben strutturata, realistica e toccante, movimentata da diversi personaggi tutti strettamente collegati. Diego è un fotografo gay che ha grande successo nel mondo della moda. Durante la sua adolescenza ha avuto una breve relazione etero che generò un figlio che la madre portò con sè trasferendosi in Spagna. In seguito Diego ha vissuto una vita gay semiclandestina fino a quando si è deciso a convivere con il suo compagno Fabrizio come una normale famiglia. Un giorno Fabrizio è vittima di un tragico incidente che lo lascia in coma. Contemporaneamente la madre di suo figlio gli telefona dalla Spagna dicendogli che deve prendersi cura del figlio Armando. Le incomprensioni tra padre e figlio non saranno poche, sentendosi entrambi come appartenenti a mondi diversi e lontani. Armando fatica ad accettare lo sconosciuto mondo gay del padre e Diego non sa cosa voglia dire essere il padre di un adolescente etero. Per entrambi non sarà facile costruire un rapporto d’amore e stima, anche perchè il mondo circostante, famiglia e società, sono contro di loro.
Diego is a guy like any other one. He has a regular family and his friends don’t have anything special. But there is something that makes him different. He has a heterosexual son. One father, one son. Both of them will need to fix their differences. Everything depends on how you look at it.
Diego et Fabrizio filent le parfait amour et vont bientôt vivre ensemble. Alors qu’il ne l’a pas vu depuis cinq ans, le fils adolescent de Diego débarque chez lui et apprend que son père est gay. Peu après, Fabrizio est roué de coups par trois homophobes et sombre dans le coma. Diego et son fils feront-ils la paix? Fabrizio sortira-t-il du coma? Et Delirio de Rio, une flamboyante transsexuelle, amie du couple, retrouvera-t-elle son amour de jeunesse? Dans un pays où l’homophobie reste présente, active et violente, Azul y no tan rosa a connu un vrai succès populaire au Venezuela. Il faut saluer le fait qu’un film mettant en vedette un couple gay « ordinaire » (ni macho, ni folle), un père gay et une transsexuelle soit resté à l’affiche pendant huit mois.
A questo link c’è il film intero..ma attenzione..dovete scorrere a fine pagina.
http://italianqueermoovies.blogspot.it/2014/07/my-straight-son-azul-y-no-tan-rosa.html
se non riuscite a vederlo ..dovete cambiare il vostro DSN ,impostando quello di Google
l’operazione è spiegata facilmente a questo link..sotto!!!
http://www.cb01.eu/siti-filesharing-oscurati-soluzione-guida-cambio-dns/